Il muro del governo Conte sta iniziando a sgretolarsi davanti alla realtà di una pandemia che sembra essere sfuggita dal controllo di qualsiasi cabina di regia.

Dopo mesi in cui l’esecutivo si è mosso compatto, ora i toni sono cambiati. I dati mostrano una curva dei contagi in costante aumento, con 17mila nuovi casi, 141 morti, 124mila tamponi (40mila in meno rispetto al giorno prima) e il rapporto tra positivi e tamponi che sale al 13,6 per cento.

Nel governo sono cominciati gli attacchi incrociati: Matteo Renzi ha chiesto la modifica del Dpcm appena approvato dal governo e viene accusato di poca serietà dal segretario del Partito democratico, Nicola Zingaretti. I senatori del Movimento 5 stelle attaccano prima la ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, ritenuta responsabile della crisi del trasporto pubblico locale alla prova delle misure di sicurezza e di distanziamento, poi il ministro della Salute, Roberto Speranza, accusato di scarsa vigilanza sulle regioni e sugli approvvigionamenti di vaccini.

A chiudere la giornata convulsa è stato il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, che è arrivato a evocare la crisi del 2008: «Ricordo nitidamente i giorni nei quali i ministri, finito il Consiglio dei ministri, andavano in piazza a manifestare contro il governo. Tempi assai più semplici di questi eppure non andò bene allora, per il governo, ma ancor più per il paese».

Accerchiato

In questo clima da resa dei conti il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sembra accerchiato, l’unico ormai a tentare di tenere alto il morale. Ci ha provato anche domenica, durante la presentazione del Dpcm, definendo le nuove misure «sacrifici per un Natale più sereno».

Tuttavia si è lasciato sfuggire la prima parziale ammissione di colpa: «Ci possono essere state delle sottovalutazioni, ma non degli errori». Dentro al governo, invece, di errori si parla ormai sempre più apertamente.

È successo di nuovo durante la direzione del Partito democratico, che si è conclusa ieri con le parole del segretario, Nicola Zingaretti: «Tutto si tiene se c’è un salto netto di qualità nel rigore con il quale il governo affronterà ora questa fase, che vuol dire autorevolezza, serietà, rapidità, non perdersi in mille rivoli delle azioni burocratiche e amministrative e non avere paura di mettere al primo posto la credibilità delle azioni che si annunciano».

«Dovevamo stare zitti»

È successo anche sul fronte opposto dell’alleanza di governo, nel Movimento 5 stelle. Il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, ospite a Che tempo che fa, ha fatto la prima vera ammissione di colpa. «Fino a qualche settimana fa ancora si diceva che l’Italia non è come la Francia, è stata brava e il nostro lockdown è servito, anche quando gli esperti avvertivano che noi eravamo solo in vantaggio di due settimane», è stata la premessa di Fabio Fazio per chiedere al ministro cosa non avesse funzionato.

La risposta di Spadafora è stata fulminante quanto imprevista. «Due settimane fa dovevamo stare zitti», ha detto, azzerando la retorica su cui si è basata la comunicazione del governo negli ultimi mesi. Dentro lo stesso esecutivo le vedute sulla gestione della pandemia ormai divergono da quelle di palazzo Chigi.

Il libro ritirato

L’esempio più evidente che due settimane fa non ci fosse alcuna capacità previsionale lo dimostra un intoppo piccolo quanto emblematico.

Il ministro della Salute Speranza aveva un libro in uscita, ma il titolo non poteva essere più sbagliato per la fase pandemica in corso: Perché guariremo. Scritto in estate quando il virus sembrava sotto controllo, doveva finire sugli scaffali il 22 ottobre e invece è stato ritirato in fretta e furia.

«Il libro è stato pensato per aprire un dibattito sul futuro del servizio sanitario nazionale. Sarà pubblicato quando il ministro avrà il tempo da dedicare alla sua presentazione», ha spiegato il suo portavoce.

«Potevamo evitarlo»

I social sono state il vero palcoscenico dell’informazione sulla pandemia e negli ultimi giorni Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto superiore di sanità e membro del comitato esecutivo dell’Oms, che il ministro Speranza ha nominato a febbraio come consigliere, ha scelto di usarli per attaccare la linea del governo. Ha commentato una mappa dell’Ecdc, il Centro europeo per la prevenzione delle malattie, che mostra come l’Italia, a parte la Calabria, sia zona rossa secondo i parametri europei. Il commento: «Peccato, potevamo evitarlo».

Poi si è smarcato del tutto dalla linea di palazzo Chigi: «Le misure del Dpcm sono insufficienti, servono lockdown localizzati», ha detto a Omnibus.

Oltre allo scetticismo di chi lo circonda, il premier deve fare i conti anche con un paese le cui piazze si stanno caricando di frustrazione.

Da Napoli a Torino, da Roma a Milano, il fenomeno si è prestato a strumentalizzazioni esterne ma contiene anche la rabbia dei ristoratori e dei commercianti colpiti dal Dpcm.

Il governo ha già fatto sapere che è previsto un piano di ristori via bonifico per 350mila aziende che hanno subìto restrizioni alle attività. Il testo del decreto legge dovrebbe arrivare in Consiglio dei ministri martedì e, secondo le tempistiche fissate dal ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, i contributi dovrebbero essere erogati «entro metà novembre» e l’indennizzo dovrebbe essere «superiore a quello previsto per la prima ondata».

La realtà delle ultime settimane ha messo in crisi quasi tutte le convinzioni del governo: dal Pd ai Cinque stelle, dagli scienziati nelle task force. Ora al governo Conte, che mai è apparso così in difficoltà, spetta il compito di ricalibrare non solo le scelte politiche e la gestione sanitaria, ma anche il tono con cui si rivolge al paese.

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