La versione “quasi” definitiva del Recovery plan è quella che il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri invierà al presidente del consiglio Giuseppe Conte, profondamente rimaneggiata in base alle proposte delle forze di maggioranza, raccolte nel giro di confronto di fine anno. Secondo notizie di stampa il testo doveva essere inviato ieri. Da un ministero blindato, data la sensibilità del passaggio, si ipotizza che l’invio avverrà oggi.

Ieri si è svolto un consiglio dei ministri sulle nuove norme antiCovid. Oggi il premier avrà in mano la bozza del nuovo piano. Toccherà a lui stilare la versione definitiva, quella da portare in un nuovo cdm, fra mercoledì e giovedì. Con la quale provare ad allungare la vita del governo. Sta a lui la mossa decisiva. Eppure da fonti Pd filtra già soddisfazione: nel nuovo piano ci saranno «più fondi per i servizi sociali, la disabilità, l’integrazione sociosanitaria per i giovani, il terzo settore, gli anziani e gli asili nido», «punti che anche la delegazione Pd aveva inserito nelle proprie osservazioni» al Piano di Ripartenza e Resilienza. Anche sulle politiche industriali sarebbero stati accolti molti punti, fra cui «una maggiore trasversalità dell’obiettivo sulla parità di genere». L’esultanza preventiva ha un obiettivo: far sapere che i miglioramenti del piano non saranno tutto merito di Matteo Renzi, che si prepara a cantare vittoria.

Al Colle in sicurezza

Questo dettaglio reso pubblico dalle agenzie è più significativo della grandinata di piccoli retroscena di giornata. A ieri il borsino della crisi ha segnalato un’impennata dei titoli del Conte ter. Racconta un’autorevole fonte renziana che il premier avrebbe finalmente abbandonato la sfida muscolare a Italia viva, lanciata alla conferenza stampa di fine anno, per aver preso atto di due punti fermi, non chiari «solo a lui e a qualche suo cattivo consigliere»: il primo, che in parlamento Conte non ha una maggioranza alternativa a quella con Iv (ieri Silvio Berlusconi ha ribadito il suo no al premier); il secondo, che salire al Colle da dimissionario con troppe incertezze significherebbe uscirne molto indebolito, fino al rischio di uscire di scena.

Il premier avrebbe scelto una strada stretta ma più realistica, disponendosi a lavorare a un piano molto rimaneggiato, con molte concessioni alle forze politiche – ecco perché il Pd comincia a piazzare le sue bandierine – e soprattutto a un nuovo elenco di ministri. Dimissioni blindate e rimpasto, dunque, per un Conte ter con la stessa maggioranza giallorossa, che consenta al Colle di scegliere una via rapida di consultazioni e subito nuova fiducia.

Renzi finge di resistere

Anche Renzi ha dovuto prendere atto che puntare a cambiare premier è velleitario. «Immaginare oggi un paese senza la guida del presidente Conte mi sembra una follia», spiega il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà a Radio Popolare, «noi come M5S siamo per una sola soluzione: un governo a guida Conte». Il partito di maggioranza relativa, diviso in mille rivoli, insomma non può smuoversi dalla premiership attuale. Per non esplodere, o consegnare a Alessandro Di Battista le cartucce per una polemica interna sanguinosa. Il quadro impazzito dunque lentamente si ricompone.

C’è chi racconta che alcuni ministri saranno convinti a farsi da parte per consentire un rimpasto senza spargimento di sangue. Palazzo Chigi chiederebbe un gesto elegante alla ministra dell’interno Luciana Lamorgese, una “tecnica” senza partiti alle spalle. Il Pd lavorerebbe su quella dei Trasporti Paola De Micheli. I Cinque stelle resisterebbero eroicamente sul fortino dell’istruzione di Lucia Azzolina, difesa però strenuamente – quanto incomprensibilmente – anche da Conte. Tutti smentiscono tutto.

Il Pd a Conte: muoviti

Renzi prova fino all’ultimo a puntare su un cambio di premier, sapendo che non ci riuscirà ma comunque potrà rivendicare il rimpasto e la modifica al Recovery plan. «Il problema non è cambiare Conte», dice la ministra Teresa Bellanova a RaiUno, «Abbiamo detto da mesi che questo governo ha bisogno di darsi un nuovo accordo programmatico perché c’è da gestire il futuro non c’è solo da mettere toppe». Anche il Pd lavora in questa direzione: serve «stabilità», dice Goffredo Bettini , «unità della maggioranza» e «rilancio dell’azione di governo attorno a Conte» che «è stato sempre disponibile al dialogo».

La linea ufficiale è meno amichevole con il premier: «Sono mesi che il Pd chiede apertamente e lavora per un rilancio dell’azione di governo, in sintonia con tutti gli alleati», dice il segretario Nicola Zingaretti durante una riunione di segreteria, «L’obiettivo era ed è quello di un rafforzamento della maggioranza attorno al presidente Conte e, come avevamo deciso insieme, il varo di un patto di legislatura», ora «rimaniamo contrari a posizioni politiche che risultano incomprensibili ai cittadini» e che «nel nome del rilancio rischiano di destabilizzare la maggioranza», e «convinti» che il rilancio del paese «sia doveroso e possibile con un impegno collegiale e senza rotture all’interno della maggioranza che inevitabilmente ritarderebbero l’attuazione di politiche utili al Paese». Tradotto: né con Renzi né con Conte. Nessuna sponda al primo, e al secondo un nuovo appello: muoviti.

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