«Noi siamo pronti». Dal ministero della Salute filtrano parole cautissime sul lavoro «ventre a terra» di queste ore, ma la sostanza del discorso è chiara: il piano per una nuova sanità, che il ministro Roberto Speranza definisce «una rivoluzione copernicana», c’è. All’indomani del voto il segretario Pd Nicola Zingaretti ha chiesto pubblicamente di presentarlo. E in effetti il lavoro è praticamente concluso e vale, cioè “pesa”, 65 miliardi. Del resto le linee principali erano state consegnate già lo scorso 9 settembre in commissione alla Camera. Nel frattempo il faldone è diventato monumentale. È composto da un documento programmatico, una relazione sui parametri di Bruxelles e un piano per le diverse aree di intervento. Tre macro-aree verticali e due trasversali: territorio e sanità di prossimità, prevenzione, ospedali in rete; conoscenza per la salute e innovazione digitale. «Portare la sanità dentro le case dei cittadini» è la nuova filosofia che cambierà il Servizio sanitario nazionale varato nel 1978 con la riforma firmata da Tina Anselmi. Sarà, spiega il ministro, «una rivoluzione nel territorio», con il rafforzamento degli “ospedali di comunità”, le “case della salute”, hospice e consultori, strutture per le Rsa e per i disturbi mentali. A Roma, nella sede di Lungotevere Ripa, si lavora su 70 slide per il giorno della presentazione alla stampa. Il ministro le vaglia blocco per blocco, con l’attenzione che serve a un paese impegnato in una corsa contro il tempo per trattenere l’Italia nella fascia dei paesi meno colpiti dalla seconda ondata del Covid-19. Il piano è parametrato sulle rigide regole del Recovery fund, ma, spiegano i tecnici, è scritto in modo tale da essere convertito, almeno in parte, nelle meno rigorose gabbie del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità a disposizione degli stati per finanziare le spese sanitarie legate all’epidemia. Sono i giorni degli ultimi ritocchi, poi servirà il confronto con le categorie del mondo sanitario, e naturalmente con le regioni. Ma tutto è pronto, anche perché il ministero aveva tarato i tempi sulla prima data di consegna dei progetti del Recovery fund, il 15 ottobre, poi slittata.

Aspettando Giuseppi

Eppure bisogna aspettare il via libera del premier Giuseppe Conte. Che con Speranza negli scorsi mesi ha lavorato gomito a gomito. E che ora gli chiede ancora tempo per lanciare la «rivoluzione». Naturalmente dal ministero nessuno lo conferma apertamente, ma per ora palazzo Chigi tiene il freno a mano tirato. In attesa di mettere ordine nella maggioranza. Speranza, che viene da Leu e quindi dall’ala della maggioranza più dialogante con i pentastellati, è favorevole all’utilizzo del Mes. I suoi compagni di lista hanno un atteggiamento «laico», spiega il capogruppo alla camera Federico Fornaro, «bisogna fare una valutazione seria per capire se alla fine il Mes ci conviene davvero». Più si procede verso sinistra più lo scetticismo prevale, fino al no del deputato Stefano Fassina. Ma in ogni caso il ministro non intende spingere troppo sul tasto. Per lui ogni giorno ha una croce, ieri era quello della soddisfazione per lo sblocco del contratto della sanità privata. Calma sul Mes, dunque: «Servono investimenti, da dove arrivino i soldi non è rilevante», spiega. Sa che una sua insistenza potrebbe essere una bomba sulla stabilità della maggioranza: dal voto di domenica scorsa i Cinque stelle sono in preda a convulsioni interne. Come Conte: fin qui sul Mes anche il premier ha tenuto un atteggiamento agnostico; un cenno di preferenza di palazzo Chigi metterebbe nei guai la componente governista M5s che fa capo al ministro Luigi Di Maio. Che proprio sul Mes non sa più come tenere le posizioni. L’ultima volta che ne ha parlato si è coperto proprio dietro il collega della Salute: «Il ministro Speranza, che gode della mia piena fiducia, ci dice che al momento i numeri e le strutture della nostra sanità sono adeguate a fronteggiare la pandemia. C’è naturalmente bisogno di soldi ma per questo abbiamo fatto la trattativa sul Recovery fund e dovremo lavorare sulla prossima legge di bilancio. Non mi risulta che ora ci sia un’emergenza di cassa per la sanità».

L’arma del tempo

Nel fortino M5s il tempo è l’ultima arma. Finché il ministro non presenta il piano la pattuglia governativa può fare opposizione: «Mi fa ridere che chiedi dei soldi in prestito e non sai quanti soldi ti servono», attacca il sottosegretario all’Economia Alessio Villarosa: «L’ho chiesto più volte al ministro Speranza e al ministro dell’Economia, non ho mai ricevuto risposte, quindi non credo che ci sia un piano sanitario, allora come fai a dire che ti servono dei soldi». Così anche Pierpaolo Sileri, viceministro di Speranza: «Le risorse sono centrali ma è rivoluzionario il modo in cui sviluppiamo un cambiamento nel modello di spesa, negli investimenti e negli interventi di edilizia ospedaliera, oltre che tecnologici. Il ministero lavora a questo». Reazioni «allergiche», come le ha definite ieri Frans Timmermans, il vicepresidente della Commissione europea.

Intanto il tempo corre. E Zingaretti vuole portare a casa il Mes per partire subito con «la rivoluzione della salute», certo, ma anche per misurare i nuovi rapporti di forza fra gialli e rossi. Da presidente del Lazio ha annunciato un piano sanitario regionale. Il testo è già avanti nella stesura e l’assessore alla sanità Alessio D’Amato ne prevede la presentazione la prossima settimana: «Sarà un documento concreto per illustrare il possibile utilizzo nella sanità del Recovery fund, ma soprattutto del Mes. I nostri economisti e tecnici preparano un’analisi delle possibilità di rafforzamento della rete territoriale ospedaliera e dell’impatto nella crescita della regione. Le risorse che possono attivarsi sono preziose, tanto più dopo gli anni dei tagli. L’Italia spende poco più di sei punti di Pil per il settore, Francia e Germania due punti in più. Il Covid-19 ha cambiato il paradigma, investire nella salute oggi significa investire nella sicurezza e nella coesione sociale. Non c’è un euro da perdere».

Zingaretti spera che i colleghi presidenti delle regioni facciano come lui, a partire da quelli di centrosinistra. Costringendo poi quelli della destra a non rinunciare a una linea di credito veloce dedicata alla sanità provata dal contagio.

L’emiliano-romagnolo Stefano Bonaccini ha già detto che presenterà il suo piano. Il pressing arriva anche dal governo: «Il Mes è una linea di credito immediatamente disponibile», ha detto ieri il ministro del Sud Peppe Provenzano su Rai 3, «abbiamo la necessità di rafforzare il nostro servizio sanitario nazionale che è la priorità del paese in questo momento, anche per garantire sicurezza ai cittadini. Dobbiamo evitare di tornare a un eventuale lockdown. L’ultima parola ce l’ha il parlamento. E credo prevarrà il buonsenso».

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