Non è un mistero che Matteo Renzi ambisca al ruolo di segretario generale della Nato: l’indiscrezione, che abbiamo già riportato su queste pagine, non è mai stata smentita. Dietro alle minacce di crisi di governo, Renzi potrebbe avere proprio questo traguardo in mente? Sarebbe un modo per seguire l’ambizione personale, mentre il destino politico sembra ormai segnato.

Si spiegherebbe così il motivo per cui Italia viva, in un generale rimpasto, sembra ambire anche a un ministero chiave, forse proprio quello alla Difesa o quello agli Esteri. Un ruolo che aprirebbe le porte agli incontri bilaterali con omologhi stranieri. Sarebbe il modo migliore per alimentare la campagna elettorale e per riscattare quel credito che l’Italia potrebbe vantare nei prossimi mesi.

Sette anni fa, quando è stato scelto l’attuale segretario della Nato, l’ex premier norvegese Jens Stoltenberg, il nostro paese aveva due candidati forti in lizza: Franco Frattini ed Enrico Letta. Il primo ministro italiano in quel caso ha accettato di fare un passo indietro, appoggiando la candidatura di Stoltenberg, fortemente sponsorizzata da Barack Obama e Angela Merkel. Quel primo ministro era Matteo Renzi, arrivato da poco a palazzo Chigi.

Un ruolo simbolico

Dalla sua Renzi potrebbe contare su un sostegno internazionale, coltivato negli anni. A partire ovviamente dagli Stati Uniti, dopo l’elezione a presidente di Joe Biden. La Nato è pronta a voltare pagina dopo quattro anni difficili: Donald Trump ha definito più volte l’alleanza atlantica come una realtà «obsoleta», ormai incapace di affrontare le sfide internazionali. Ha criticato duramente il modo in cui ne sono divisi gli oneri, con gli Stati Uniti costretti a pagare il prezzo maggiore. Con Biden questo spettro sembra definitivamente svanito: durante la campagna elettorale ha più volte ribadito l'intenzione di rilanciare l'alleanza euro-atlantica.

Riuscire ad avere come segretario generale della Nato un ex primo ministro italiano potrebbe avere un forte peso simbolico, alla luce di un rinnovo di questo patto. Soprattutto se quell’ex primo ministro gode della stima dello stesso Biden (e di Obama, ovviamente). Quello che manca a Renzi è una solida esperienza nell’ambito della difesa: ma anche l’attuale segretario, Stoltenberg, aveva lo stesso “difetto”, sette anni fa. Per riuscire a dare maggiore credibilità alla propria candidatura, Renzi potrebbe invece avere bisogno di un ruolo più forte all’interno del governo. In questo modo, anche attraverso gli incontri bilaterali e le cene con i ministri stranieri, si può preparare, con più facilità, la strada per prevalere rispetto ad altri candidati stranieri.

Sostegno internazionale

Per diventare segretari generali della Nato, avere l’appoggio internazionale conta ancora di più rispetto al sostegno del proprio paese di origine. L’elezione avviene con un voto che prevede l’unanimità dei 30 stati membri. Questo dipende anche da una forte campagna elettorale, fatta senza troppa pubblicità, per evitare che un candidato possa “bruciarsi”.

In più, ci sono altri aspetti che fanno pensare che un candidato italiano abbia qualche possibilità in più. Se si escludono i ruoli ad interim, sono esattamente 50 anni che non c'è un segretario generale italiano. L’ultimo è stato Manlio Brosio, in carica dal 1964 al 1971. Anche se il ruolo di segretario generale è sempre scelto tra gli europei (gli americani scelgono il comandante militare), sono ormai più di vent’anni che proviene dall’Europa settentrionale: George Islay MacNeill Robertson (1999-2003) era scozzese, Jaap de Hoop Scheffer (2004-2009) olandese, Anders Fogh Rasmussen (2009-2014) danese e Jens Stoltenberg (dal 2014) appunto norvegese.

Franco Frattini (Foto: LaPresse)

L’ultima volta

Ma c’è un altro credito che Matteo Renzi potrebbe spendere e deriva da come sono andate le cose sette anni fa, per l’elezione di Stoltenberg. Nell’estate del 2013, a pochi mesi dalla nomina, il grande favorito al ruolo di segretario generale Nato è l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini. Anzi: è l'unico candidato ufficiale.

Ha già ottenuto, anche se in maniera informale, l’appoggio del Partito popolare europeo. Il suo principale avversario è il ministro degli Esteri della Polonia, Radosław Sikorski. Sikorski però si ritira per permettere al suo capo di governo, Donald Tusk, di ambire alla presidenza del Consiglio europeo (che infatti otterrà da lì a poco).

Frattini inizia la sua campagna elettorale. Ottiene l’appoggio di Mario Monti, del nuovo primo ministro, Enrico Letta, e del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. A luglio, quando l’allora segretario generale Nato Rasmussen è a Roma, il ministro alla Difesa Mario Mauro ufficializza il sostegno italiano a Frattini. Il quale, nel frattempo, si fa vedere in giro per l'Europa. A settembre, al termine del Belgrado security forum, si lascia andare con i giornalisti locali: «So che molti paesi hanno già dato un consenso alla mia candidatura ed è un fatto importante per l’Italia».

Jens Stoltenberg (Michael Kappeler/Pool via AP)

Il credito di Renzi

Più o meno negli stessi giorni, il settimanale tedesco der Spiegel scrive però, per la prima volta, di due caratteristiche che potrebbero essere un ostacolo per l’elezione di Frattini. Il suo passato politico legato a Silvio Berlusconi, ma anche il fatto di non avere più un ruolo politico di rilievo. Non basta la nomina, in autunno, come consulente internazionale per il governo della Serbia: nel cuore dell’Europa, la cancelliera tedesca Angela Merkel sta preparando il sostegno alla candidatura di Stoltenberg, già sponsorizzata anche dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.

Per la Merkel l’appoggio a un candidato socialdemocratico è probabilmente un modo per ottenere l’elezione alla Commissione europea di un popolare (e infatti sarà scelto Jean-Claude Juncker).

C’è però un problema da risolvere: lo sgarbo all’Italia che tanto ha sponsorizzato la candidatura di Frattini. Nel frattempo però il primo ministro è cambiato: da febbraio 2014 è Matteo Renzi. A marzo, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è in visita in Europa e passa anche da Roma. Fra gli argomenti che discute con lo stesso Renzi e con Napolitano c’è la nomina del nuovo segretario generale della Nato. Con un colpo di teatro, nei giorni successivi, Renzi propone un nuovo nome italiano: quello di Enrico Letta, l’ex primo ministro che lui stesso ha appena sostituito a palazzo Chigi.

È una candidatura poco credibile, che però fa definitivamente sfumare ogni chance per l’elezione di Frattini. Qualche giorno dopo la nomina di Stoltenberg, l’allora ministra degli Esteri Federica Mogherini ribadisce: «L’Italia ha contribuito al raggiungimento del consenso unanime per Stoltenberg». Sette anni dopo, Renzi sarebbe pronto a vantare quel credito.

 

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