Tra il 2010 e il 2019 sono stati sottratti alla sanità pubblica quasi 37 miliardi di euro, di cui 24,7 miliardi nel periodo 2010-2015, in conseguenza di tagli previsti da varie manovre finanziarie approvate al di fuori degli accordi governo-Regioni; 12,1 miliardi si sono volatilizzati invece nel periodo 2015-2019 in conseguenza di politiche di “definanziamento” che, questa volta con il pieno benestare delle Regioni, hanno assegnato meno risorse al Servizio Sanitario Nazionale (Ssn) rispetto ai livelli programmati.

A fronte di queste manovre, nell’ultimo decennio il finanziamento pubblico al Ssn è aumentato di soli 8,8 miliardi di euro, crescendo in media dello 0,9 per cento annuo, un tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua (1,07 per cento).

La vertiginosa cifra di 37 miliardi di euro corrisponde, come per un’astrale coincidenza, all’importo massimo che l’Italia potrebbe richiedere utilizzando il Mes, la linea europea di credito che ha acceso un duplice dibattito: il primo ideologico, che ha generato schieramenti politici a favore e contrari al suo utilizzo; il secondo, economico, relativo alla convenienza finanziaria di questo prestito rispetto ad altri.

La domanda che pochi, però, si sono posti è: per cosa può essere realmente utilizzato il Mes?

Stando alle dichiarazioni di numerosi esponenti politici si trasforma per incanto in un fondo di ristrutturazione per il Ssn, in una robusta stampella per risollevare, dopo dieci anni di razzie, una delle più grandi conquiste sociali dei cittadini italiani, tornata alla ribalta in occasione dell’emergenza Covid-19.

Su questo equivoco si giocano molte delle posizioni ideologiche, anche perché il dibattito si è avvitato come se il Mes dovesse necessariamente rispondere alla logica del tutto o nulla: ovvero o si prendono 37 miliardi di euro, generando un ulteriore indebitamento del paese, oppure si rinuncia del tutto a questa opportunità.

Sgombrando il campo da letture ideologiche e valutazioni finanziarie proviamo a ripartire da un approfondimento della documentazione tecnica per comprendere appieno le regole.

Il Mes è uno strumento con cui l’Europa sostiene tutti i paesi dell’area euro per far fronte alla crisi del Coronavirus. Ben lungi dall’essere un fondo di ristrutturazione dei servizi sanitari degli Stati membri, può essere utilizzato esclusivamente per spese dirette e indirette correlate alla pandemia degli anni 2020 e 2021, per un massimo del 2% del Pil calcolato al dicembre 2019 (i famosi 37 miliardi di euro).

In altre parole, l'unico requisito per accedere alla linea di credito è l’impegno ad utilizzarla per sostenere i costi diretti e indiretti conseguenti alla crisi Covid-19. Di conseguenza, l’ipotesi che queste risorse possano essere utilizzate per aumentare gli stipendi di medici e infermieri, per ristrutturare gli ospedali o per ammodernare tout court le apparecchiature tecnologiche è irrealistica. Per non parlare dell’utilizzo del Mes per l’assunzione a tempo indeterminato di personale sanitario, un costo reiterato che richiede un impegno di spesa che va ben oltre la linea di credito.

Tuttavia, se le spese dirette sono facilmente identificabili e rendicontabili (ricoveri ospedalieri, ventilatori, dispositivi di protezione individuali, farmaci, e così via), quelle indirette sono molto generiche anche nel modulo di rendicontazione. Il testo le definisce come “parte della spesa sanitaria pubblica complessiva stimata direttamente o indirettamente per affrontare l'impatto di Covid-19 sul sistema sanitario: include l’assistenza ospedaliera, riabilitativa e ambulatoriale, la diagnostica, la farmaceutica, gli interventi di prevenzione, i costi amministrativi e la long-term care” e “altri costi indiretti legati all’assistenza, al trattamento e alla prevenzione della crisi Covid-19”.

Anche per la rendicontazione di costi diretti è possibile “giocare” utilizzando diversi parametri. Per i ricoveri ospedalieri, ad esempio, valgono le tariffe di rimborso standard che, stando a uno studio dell’Università Cattolica, hanno avuto un impatto di oltre 1,22 miliardi di euro, oppure i costi di dettaglio per intensità di cura che, secondo l’Università Carlo Cattaneo di Castellanza, oscillano tra 427,77 euro (bassa intensità), 582,38 euro (media intensità) e 1.278,50 euro (alta intensità) per giornata di degenza?

Se, come sostiene lo schieramento a favore del Mes, si potrà rendicontare di tutto e di più, ipotizzando di poter utilizzare l’importo massimo della linea di credito, occorre però essere consapevoli che gli Stati membri che beneficiano del Mes saranno soggetti ad una “sorveglianza speciale” (enhanced surveillance) da parte della Commissione europea che si concentrerà proprio sul monitoraggio e sugli obblighi di comunicazione sul corretto uso dei fondi.

Dall’altro lato, gli oppositori, oltre che temere lo screditamento dell’Italia sui mercati e sottolineare la “scarsa convenienza” di questa linea di credito, sostengono che non vi sia alcuna necessità di indebitarsi per la sanità, visto quanto messo recentemente sul piatto dal governo. Palazzo Chigi ha infatti previsto un aumento del fabbisogno sanitario nazionale assegnato dalla legge di Bilancio 2020 (che equivale a 2 miliardi di euro in più nel 2020 e 1,5 miliardi nel 2021), un ulteriore incremento di 1,41 miliardi di euro previsto dal Decreto Cura Italia e ulteriori 3,25 miliardi di euro inseriti nel Decreto Rilancio. Complessivamente si tratta di oltre 10 miliardi di euro in due anni, ovvero una cifra superiore rispetto a quanto investito negli ultimi dieci.

Se dovesse prevalere la linea favorevole al Mes si porrebbe poi il problema delle modalità di riparto tra le Regioni. Infatti, il criterio standard per la suddivisione del fabbisogno sanitario nazionale (popolazione residente pesata per età) non sarebbe affatto equo, perché non tiene conto che le Regioni più colpite dalla pandemia sono quelle del nord dove la sanità funziona meglio. D’altro canto, volendo utilizzare in maniera opportunistica il Mes per azioni di ristrutturazione del Ssn, servirebbero molte più risorse al Centro e soprattutto al Sud dove i servizi sanitari regionali sono più in difficoltà, ma dove il virus ha colpito meno. Senza contare che le regole per la restituzione da parte delle Regioni al governo non sono affatto esplicite e richiedono un’intesa Stato-Regioni che, visti i recenti trascorsi, si annuncia particolarmente difficile da raggiungere.

Ecco perché, sterilizzando il dibattito da ogni ideologia, il Mes è sicuramente uno strumento utile per coprire le spese dirette legate all’emergenza Covid-19 in grado di offrire una boccata d’ossigeno a una sanità martoriata per anni, senza sottoporre il paese a un indebitamento eccessivo.

Rispetto al suo possibile utilizzo per le spese indirette, se da un lato è indispensabile uno studio analitico per valutare cosa sia effettivamente rendicontabile, dall’altro serve un’adeguata programmazione sotto il segno di un grande patto politico tra governo e Regioni.

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