La prima conferenza stampa di Mario Draghi è stata deludente. Un mese fa è nato il governo dei due presidenti, il presidente della Repubblica e quello del Consiglio, fondato su un impianto fra forze politiche e forze della società. Con un peso molto ridimensionato dei partiti; non le prime file, non i leader. Dopo un mese sembra già tornato l’eterno già visto: le decisioni non vengono adottate nel mix virtuoso fra tecnici e politici ma con le forze politiche, con la tipica consultazione.

Il governo dei presidenti sfuma sempre più, il presidente della Repubblica ripara verso un ruolo notabilare, una volta si diceva «taglianastri» oggi diremmo «commemorativo». E il presidente del consiglio si caratterizza rispetto al passato su un terreno del garbo. Il predecessore era sfacciatamente imbroglionesco, ad ogni domanda sulle riforme e sul futuro rispondeva “ci stiamo lavorando”; l’attuale risponde con grande educazione “non è il momento di dirvelo”. Ma non si può rispondere così sull’intervento nell’economia e sulla riorganizzazione della società italiana. Non si può non indicare quando questi soldi verranno presi e in che forma. Il compito del governo non è solo gestire la vaccinazione ma anche l’avvio del Recovery plan, che copre un arco di tempo lungo. Bisogna dire oggi quali sono gli obiettivi di domani.

Anche a proposito dei vaccini, non è buona formula dire «ci si rivolge in prima istanza all’Europa, ma se non risponde ognuno va per conto suo». Da Draghi non ci si aspetta un europeismo à la carte. Così come il Recovery plan è il banco di prova perché in sede europea questa esperienza diventi permanente, espansiva, continua. Solo così è possibile ottenere un’integrazione europea e un passaggio dai bilanci nazionali al bilancio unico. E se i problemi dell’Europa non sono risolvibili oggi, dovranno essere risolvibili domani attraverso una battaglia europea. E’ deludente questo volersi lasciare le mani libere. Siamo europeisti e atlantici. Se un’iniziativa non trova una risposta positiva, arretreremo a ciascuno per conto suo? A Draghi spettano decisioni che travalicano la durata del governo. Ma alla conferenza stampa sembrava l’Andreotti che a domanda rispondeva ‘questo non è il momento’. Ma Andreotti aveva dietro di sé l’immensa forza della Dc e della tradizione culturale, politica e di governo della Chiesa. Draghi invece dietro sé ha la non buona fama di cui godono i banchieri in tutto il mondo, e si è lasciato sfuggire la spocchia del banchiere che non può rivelare come saranno utilizzati i fondi della banca.

Non si può dirigere la politica senza la schiettezza – questo deve essere il punto di distinzione con il governo del suo predecessore – su dove si vuole andare. Non siamo alla barzelletta dei viandanti che giungono da varie vie, dicono “andiamo verso il domani” e alla fine sono senza meta. Draghi dice che la meta ce l’ha, ma non la può dire, non ancora. Ma tra un mese, entro aprile, l’utilizzo dei fondi europei, la loro destinazione, il loro utilizzo espansivo dovrà essere detto. La differenza di buona educazione con il governo precedente è gradita ma non basta. “Ve lo dirò al momento opportuno” risponde a un’idea settecentesca, precedente alla Rivoluzione francese, da re precostituzionale. Fra il “ci stiamo lavorando” di Conte al “non posso dirvelo” c’è la Rivoluzione francese e il costituzionalismo monarchico. Da noi ieri il segreto di Stato era sul passato, non vorrei che oggi fosse apposto sul futuro. Il parlamento di una Repubblica costituzionale chieda subito un dibattito.

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