Conte ter

Presidente del Consiglio Giuseppe Conte

Maggioranza M5s, Pd, Leu, “Responsabili”. Incerta l’adesione di Italia viva

Imprevisti e probabilità

È l’ipotesi su cui ha scommesso il premier dimissionario Giuseppe Conte. Permetterebbe di procedere a un rimpasto, con il cambiamento anche di diversi ministri, ma con lo stesso presidente del Consiglio. Per il momento tutti i leader dei partiti dell’attuale maggioranza si dichiarano favorevoli a un nuovo governo guidato dal presidente dimissionario. Rispetto al voto di fiducia della scorsa settimana Conte ripartirebbe però con una maggioranza stabilizzata dai neonati gruppi “responsabili”: alla Camera, dove ha comunque già oggi la maggioranza assoluta, il Centro democratico di Bruno Tabacci e al Senato, oltre che su Maie-Italia 23 di Ricardo Merlo, anche su un paio di ex Udc, come Paola Binetti, che da giorni invoca la nascita di un governo «giallo-bianco». Le notizie positive per il premier, al momento, sono che il Maie avrebbe raggiunto i dieci senatori necessari a formare un gruppo autonomo mentre il senatore Gregorio De Falco ha deciso di aderire a Cd di Tabacci.

Non è escluso che si aggreghino anche altri parlamentari e la speranza di Conte, ovviamente, è che questi compensino l’assenza di Italia viva, il cui gruppo a palazzo Madama, per ora, ha dimostrato di essere decisivo per il governo. In questo modo il premier potrebbe gestire più tranquillamente i dossier di peso in scadenza, primo fra tutti il Recovery plan, ma anche misure più pratiche come il nuovo decreto Ristori, che subirà ritardi proprio a causa della crisi. I renziani, in ogni caso, potrebbero decidere in extremis di rientrare comunque in maggioranza, ma sarebbero probabilmente costretti ad accettare un ridimensionamento del proprio potere all’interno dell’esecutivo. Sarà il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a valutare se affidare subito a Conte il compito di formare un nuovo governo: una scelta che la maggior parte dei commentatori al momento ritiene improbabile soprattutto alla luce dell’incertezza dei numeri al Senato.

A frenare l’arrivo di senatori tra le file dei “responsabili” anche il fatto che il Conte ter non sembra più essere l’unica alternativa alle elezioni. L’ipotesi che il premier possa non ottenere il reincarico e che venga sostituito da un altro presidente del Consiglio potrebbe diventare realtà. Così in molti aspettano di capire meglio cosa potrebbe succedere.

Di certo, anche dovesse nascere, la nuova maggioranza, priva di Italia viva, avrà comunque difficoltà a gestire i lavori parlamentari, soprattutto nelle Commissioni. L’altro problema da risolvere è quello della squadra di governo, soprattutto per quanto riguarda il M5s. I gruppi parlamentari chiedono un rinnovamento, ma Luigi Di Maio e Vito Crimi vorrebbero lasciare tutto invariato e confermare i ministri uscenti. Da chiarire soprattutto il ruolo del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, i suoi colleghi di governo lo hanno difeso e continueranno a difenderlo. E questo in prospettiva potrebbe diventare un problema. Anche per il Conte ter.

Governo Di Maio

Presidente del Consiglio Luigi Di Maio

Maggioranza M5s, Pd, Leu, Iv, una parte dei “responsabili”

Imprevisti e probabilità

Anche se per il momento tutta la comunicazione del Movimento 5 stelle è schierata a sostegno di Conte e della sua riconferma come presidente del Consiglio, il premier dimissionario resta un pericolo sia all’interno del Movimento sia nel caso in cui decidesse di far nascere un proprio partito. Ciò nonostante tutti gli esponenti grillini più in vista sono con lui. Al punto che Luigi Di Maio arriva a scrivere su Facebook che «il Movimento 5 Stelle rimane il baricentro del paese e insieme al presidente Giuseppe Conte offriremo il nostro contributo per la stabilità». Ma se nelle consultazioni dovesse delinearsi la possibilità di sostituire il suo nome, non tutti ne sarebbero scontenti. Soprattutto tra i dirigenti del M5s, bloccati fra il fortissimo gradimento di Conte e lo scontento dei gruppi parlamentari, con più di qualche parlamentare che da settimane chiede «di cambiare i nomi nei ministeri e di esser rappresentati alle trattative da qualcuno che sia legittimato». Il riferimento è chiaramente al capodelegazione del M5s al governo, Alfonso Bonafede, e al capo politico, Vito Crimi. La decisione presa lunedì sera di continuare a difendere a spada tratta il Guardasigilli non ha certo rasserenato gli animi.

Ma a sparigliare tutto potrebbe arrivare il colpo di mano di Di Maio. Diverse fonti di maggioranza lo danno infatti in parola con Matteo Renzi fin da novembre, pronto a entrare deciso nella trattativa tra le forze di maggioranza proponendo un nome nuovo: il suo. Togliendo così a Italia viva l’onere di dover tornare in una maggioranza ancora guidata da Conte con la coda fra le gambe.

Chiaramente per il Movimento non ci sarebbero dubbi. «Si tratta di un nome a cui nessun grillino potrebbe dire di no», dice un parlamentare critico della linea governista. Insomma, la conquista di palazzo Chigi porrebbe almeno temporaneamente un punto a tutti gli sconvolgimenti interni che il Movimento ha dovuto subire in questi anni. Anche Alessandro Di Battista probabilmente si limiterebbe a prendere atto di un’evoluzione di questo tipo. E anche se fino a qualche giorno fa poneva il veto su una nuova alleanza con Italia viva, è difficile immaginare che un governo Di Maio possa farne a meno. A quel punto, se non volesse accettare la decisione, a Dibba rimarrebbe solo una presa di posizione di minoranza. In uno scenario del genere i renziani riguadagnerebbero probabilmente il peso che in un ipotetico Conte ter non potrebbe mai avere. Chi conosce i termini della trattativa spiega infatti che nel negoziato si è parlato anche di lasciare qualche ministero di peso a Italia viva. Una presidenza targata Di Maio non dispiacerebbe al Pd che potrebbe chiedere in cambio, oltre a un vicepremier, anche una serie di dicasteri finora ripartiti diversamente e la governance del Recovery plan, con tutta la centralità che caratterizza quel ruolo. C’è poi chi osserva che una presidenza dell’attuale ministro degli Esteri potrebbe anche convincere alcuni dei parlamentari fuoriusciti dal M5s a tornare nell’alveo della maggioranza come gesto di solidarietà verso chi, fin dall’inizio, li ha condotti in parlamento avviando la loro carriera politica.

Governo Franceschini  

Presidente del Consiglio Dario Franceschini

Maggioranza M5S, Pd, Italia Viva, Leu, “responsabili” provenienti dal centro

Imprevisti e probabilità

L’ipotesi di un terzo governo della legislatura guidato da Dario Franceschini ha come sponsor principale, ovviamente, il Partito democratico. L’idea, però, potrebbe trovare anche il sostegno del Quirinale. Franceschini, oltre a essere capodelegazione al governo del partito che più di tutti ha assicurato la stabilità della maggioranza, ha un ottimo rapporto personale con Sergio Mattarella. Inoltre, da abile tessitore di rapporti, è in buoni rapporti anche con la parte più dialogante del Movimento 5 Stelle legata a Stefano Patuanelli, con cui condivide la certezza che tutte le soluzioni siano meglio del voto anticipato. La sua storia politica di moderato ex Dc potrebbe raccogliere consensi anche in parte del centrodestra e nella galassia legata a Bruno Tabacci, dove potrebbero confluire anche i senatori dell’Udc e in particolare Paola Binetti, che proprio con Franceschini ha militato nella Margherita.

Meno soddisfatta di questa scelta però sarebbe la base dei Cinque Stelle. I grillini continuano a essere il gruppo più numeroso in parlamento ma per la terza volta si troverebbero a dover mediare mandando per giunta a palazzo Chigi non una personalità “terza” organica come Conte ma un politico non organico al Movimento. Uno sgarbo che i Democratici potrebbero compensare offrendo ai grillini ruoli di maggior rilievo nella compagine di governo e, soprattutto, la garanzia di un patto di ferro per arrivare a fine legislatura. Un patto che Franceschini non avrebbe certo problemi a promuovere e difendere visto che è l’esponente del Pd che, più di tutti, ha teorizzato l’alleanza strutturale coi Cinque stelle.

L’ipotesi di Franceschini premier è la seconda scelta, invece, per Italia viva di Matteo Renzi, che invece preferirebbe l’ipotesi Luigi Di Maio per non consegnare al suo ex partito la casella più importante. Inoltre un antico astio divide l’ex premier e l’attuale ministro dei Beni culturali: notissimo lo scambio di battute in cui Franceschini ha attaccto lo strappo politico di Italia viva indicando i renziani come causa della sconfitta alle elezioni del 2018 nella sua città, Ferrara. Eppure, pur di liberarsi di Giuseppe Conte e del fantasma di un nuovo gruppo “del premier” in parlamento, Renzi sarebbe disposto ad appoggiare l’ipotesi Franceschini. Certamente non sarebbe facile per Iv ritornare indietro dalle posizioni intransigenti assunte nell’ultima fase dello scontro con Conte. E Franceschini, sicuramente più esperto nella gestione dei rapporti politici rispetto a Conte e allo stesso Di Maio, sarebbe sicuramente più difficile da gestire come premier. Tuttavia questa soluzione darebbe ancora a Renzi una “golden share” sulla tenuta dell’esecutivo, che avrebbe posizioni più vicine alle sue sia sull’Europa che sulla giustizia.

Oltre a Conte da un’ipotesi di questo tipo rimarrebbe ovviamente tagliato fuori il centrodestra. Il governo Franceschini rimarrebbe un governo politico, sostenuto dalle stesse forze che già sostenevano il Conte bis con l’aggiunta di qualche fuoriuscito centrista a rafforzare la maggioranza al Senato. In questo caso, Forza Italia rimarrebbe sulle sue posizioni nel blocco di centrodestra insieme alla Lega e a Fratelli d’Italia. A non permettere l’ingresso di FI, secondo quanto lasciato intendere dalle dichiarazioni del leader Silvio Berlusconi, sarebbe la matrice politica di questo possibile nuovo governo, che sarebbe in continuità rispetto all’uscente, frutto di una semplice ricucitura dei rapporti con Italia viva.

Governo tecnico

Presidente del Consiglio Un tecnico di fiducia del Quirinale come Mario Draghi o Marta Cartabia

Maggioranza M5S, Pd, Italia Viva, Leu, “responsabili”, Forza Italia e Lega

Imprevisti e probabilità

L’ipotesi di un governo tecnico che accolga quasi tutto l’arco parlamentare ad esclusione di Fratelli d’Italia, che non ha mai aperto a questa soluzione, è la più complicata da realizzare. Si verificherebbe nel caso in cui il Quirinale accerti che una maggioranza politica in questo momento non esiste, ma nello stesso tempo registri la disponibilità di tutti i partiti a dare una fiducia larga a un presidente del Consiglio terzo, con un programma predeterminato che parta dall’impellente necessità di chiudere e consegnare all’Unione europea il testo del Recovery plan.

Questa soluzione piacerebbe in particolare a Forza Italia, che da giorni ripete di essere aperta a un governo di unità nazionale a patto però che includa anche la Lega. Matteo Salvini, in questo momento scettico sull’opportunità di andare a votare, spinto dal suo numero due nella Lega Giancarlo Giorgetti convinto sostenitore della necessità di riportare il partito su posizioni meno estreme, non disdegna questa opzione.

Si tratterebbe di una soluzione che permettere a tutti di rivendicare di agire “nell’interesse del paese”, sotto l’egida di un presidente del Consiglio che avrebbe l’onere di garantire tutte le parti in causa e di traghettare in modo il più possibile neutro l’Italia verso le prossime elezioni. Da tenersi, molto probabilmente, alla fine della legislatura. I nomi possibili – da quello di Mario Draghi a quello della ex presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia – fanno infatti intuire che non si tratterà certamente di un governo di breve respiro, almeno sulla carta. Sarebbe difficile anche per il Quirinale scomodare personalità di questa portata per poi chiedere loro di dimettersi dopo una manciata di mesi, giusto il tempo di sbrigare la pratica del Recovery plan.

Una soluzione di questo tipo avrebbe un grande sconfitto: Giuseppe Conte. Non avendo lui alcun ruolo elettivo in parlamento, il nome dell’ex premier finirebbe improvvisamente lontano dal confronto politico e scemerebbe anche l’interesse del gruppo dei Responsabili a diventare l’embrione di una nuova forza politica di centro capitanata da Conte. Nemmeno le attuali forze di governo si gioverebbero molto di una soluzione di questo genere, che di fatto decreterebbe il fallimento del governo giallorosso. Il Partito democratico, però, avrebbe più capacità di riallinearsi in questo scenario: una lunga tradizione da partito garante della stabilità gli permetterebbe di entrare in sintonia con un governo tecnico che avrebbe nell’europeismo uno dei suoi segni distintivi. Meno a suo agio, invece, si troverebbe il Movimento 5 stelle che da un lato non vuole andare al voto, dall’altro si rende conto che il prezzo per non sciogliere le camere sarebbe sostenere il terzo esecutivo di legislatura, questa volta senza nemmeno la possibilità di pesare politicamente.

Voto anticipato

Nel caso in cui nessuna delle soluzioni di governo risultino percorribili, il Quirinale non potrebbe che indicare la via del voto anticipato che potrebbe svolgersi in concomitanza con le elezioni amministrative. Difficilmente in primavera, come previsto, più probabilmente a giugno. In questo caso, gli esiti sarebbero incerti sia perché si voterebbe con la legge elettorale attualmente vigente (il Rosatellum) sia per le incognite legate alla pandemia.

Nel caso di un ritorno alle urne restano da capire le intenzioni di Giuseppe Conte. Il suo governo rimarrebbe probabilmente in carica per lo svolgimento degli affari correnti, il che gli consentirebbe di continuare a vestire i panni del premier, ma un recente sondaggio ha rilevato che la nascita di una forza politica da lui guidata potrebbe raggiungere il 10 per cento, rubando voti in modo equivalente sia al Pd che ai Cinque stelle. Chissà che non lo attenda un futuro da premier dimissionario-candidato.

 

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