Il decreto-legge con cui l’esecutivo di Giorgia Meloni ha modificato la governance del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr, d.l. n. 13/2023) è intervenuto anche su un altro ambito cui forse si è prestata meno attenzione: le politiche per lo sviluppo e la coesione, che impiegano fondi europei e nazionali. È stata modificata anche la governance della gestione di tali fondi, evidentemente al fine di renderla più efficiente. Il disegno dell’esecutivo è unitario, per cui serve esaminare le due componenti dell’intervento normativo.

Il Pnrr

Il decreto che trasforma l’impianto organizzativo per la realizzazione del Pnrr, definito dal governo di Mario Draghi nel maggio del 2021 (d.l. n. 77), è improntato alla centralizzazione della gestione del Piano. Due nuove strutture sono preposte a coadiuvare l’«Autorità politica delegata» presso palazzo Chigi, vale a dire il ministro per gli Affari europei, le Politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto. Innanzitutto, si costituisce la Struttura di missione Pnrr presso la presidenza del Consiglio, che acquisisce i compiti e le funzioni della Segreteria tecnica e, tra le altre cose, dovrà sovraintendere «alla formulazione delle proposte di aggiornamento ovvero di modifica del Pnrr». La Struttura diviene altresì il punto di contatto nazionale con la Commissione europea per l'attuazione del Piano e per la verifica della coerenza dei risultati conseguiti rispetto agli obiettivi e ai traguardi concordati a livello europeo (compito finora svolto dal ministero dell’Economia e delle Finanze). In secondo luogo, viene creato l’Ispettorato generale per il Pnrr presso la Ragioneria generale dello Stato, che prende il posto del Servizio centrale nello svolgimento di compiti necessari per l’attuazione del Piano: tra l’altro, è responsabile del sistema di monitoraggio sull'attuazione delle riforme e degli investimenti del Pnrr, coadiuva sotto il profilo tecnico le amministrazioni interessate dal Piano e ha un ruolo di controllo e rendicontazione verso l'UE. Pure l’Ispettorato fornisce supporto diretto al ministro Fitto.

La riorganizzazione riguarda anche i ministeri titolari di interventi del Pnrr, ai cui vertici è data facoltà di riordinare le strutture con cui gestiscono, monitorano e controllano gli interventi previsti dal Piano.

Insomma, le modifiche nella governance sono rilevanti. Ma non basta un decreto-legge per adeguare la realtà a quanto auspicato dal governo: la velocizzazione nell’attuazione del Pnrr. Il decreto dovrà essere convertito entro il 26 aprile, e solo dopo si potrà procedere alla riorganizzazione delle strutture amministrative, previa emanazione dei necessari provvedimenti attuativi. E ne servirà una mole non indifferente. Alcuni sono stati individuati dalla Presidenza del Consiglio, ma non sono tutti, considerato che pure i ministeri dovranno predisporre decreti e atti organizzativi. Dopo la girandola di decreti e circolari, nonché il trasferimento alle nuove strutture delle competenze e dei rapporti di cui erano titolari quelle già esistenti, servirà procedere alle relative nomine. La realizzazione di questi cambiamenti, in una fase nella quale sarebbe necessario che le amministrazioni fossero concentrate sulla concretizzazione degli investimenti, non sarà né rapida né indolore per l’esecuzione del Piano nei tempi previsti.

Le politiche di coesione

Il processo di centralizzazione presso la presidenza del Consiglio interessa altresì le politiche per lo sviluppo della coesione, vale a dire quell’insieme di interventi – fondati sia sul Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (art. 174 TFUE) sia sulla Costituzione italiana (art. 3, c. 2 e art. 119, c. 5) – finalizzati a incrementare lo sviluppo economico e sociale per ridurre divari e disparità tra territori. Tra i principali strumenti finanziari attraverso cui tali politiche sono attuate possono citarsi il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) e i Fondi europei per la politica di coesione, come il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il Fondo sociale europeo Plus (FSE+).

Il decreto Pnrr sopprime l'Agenzia per la coesione territoriale, finora preposta all’attuazione delle relative politiche. I suoi compiti sono trasferiti a Palazzo Chigi (art. 50), presso il Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio, che subentra in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo all’Agenzia. Anche la nuova governance delle politiche di coesione, come quello del Pnrr, richiederà una serie di adempimenti di attuazione, normativi e organizzativi. Tra gli altri, un DPCM proprio in questi giorni dovrebbe indicare la data a decorrere dalla quale l’Agenzia per la coesione territoriale viene soppressa e provvedere alla conseguente riorganizzazione del Dipartimento per le politiche di coesione. Inoltre, entro 90 giorni dall’entrata in vigore del decreto-legge sulla governance (cioè entro il 26 maggio 2023) dovrà procedersi alla riorganizzazione del Nucleo di valutazione e analisi per la programmazione (NUVAP), che viene ridenominato Nucleo per le politiche di coesione (NUPC) e che acquisisce le funzioni e le attività attualmente in capo al Nucleo di verifica e controllo (NUVEC). Sempre entro il prossimo 26 maggio, il Dipartimento per le politiche di coesione dovrà stipulare un accordo di collaborazione con la Ragioneria Generale dello Stato per estendere a tali politiche il sistema informatico “ReGiS”,  la piattaforma unica attraverso cui soggetti preposti all’attuazione del Pnrr danno conto del rispetto degli obblighi «di monitoraggio, rendicontazione e controllo delle misure e dei progetti»: piattaforma il cui malfunzionamento, tuttavia, è stato denunciato da molti sindaci nei giorni scorsi.

In conclusione, la girandola delle sigle che connotano le strutture dedicate alle politiche di coesione si traduce in concreto nella creazione di strutture ulteriori, nella riorganizzazione di quelle esistenti e in nuove nomine conseguenti. Ma soprattutto la centralizzazione delle funzioni a Palazzo Chigi comporta la perdita o, comunque, la dispersione delle competenze acquisite dall’Agenzia per la coesione, istituita nel 2013, nella gestione dei relativi fondi. Ciò rischia di tradursi in un problema di non poco conto.

Le difficoltà

In conclusione, quando adempimenti di riorganizzazione, trasferimento di competenze e nomine saranno stati ultimati, palazzo Chigi si occuperà di ogni profilo del Pnrr come delle politiche di coesione. In altre parole, attraverso le strutture presso la presidenza del Consiglio passeranno le trattative con la Commissione europea, l’interlocuzione con le amministrazioni nazionali e locali, la gestione delle gare, il monitoraggio dello stato di avanzamento dei lavori, la valutazione e lo studio di fattibilità dei nuovi programmi di spesa dei fondi per la coesione. È vero che il riferimento a un unico soggetto politico, Raffaele Fitto, è coerente con la titolazione scelta per il suo ministero, e che la gestione integrata delle risorse del Pnrr e dei fondi per la coesione può presentare vantaggi, anche in termini di spostamento di progetti da un ambito all’altro. Ma, al di là delle difficoltà di avviare le nuove strutture organizzative, sopra rilevate, affidare in ultima istanza una mole ingente di progetti a un unico soggetto, sito a Palazzo Chigi, il quale ha scarso contatto con i territori cui i fondi sono destinati, rischia di non portare a scelte mirate. Con riferimento alle politiche di coesione, anche la Commissione europea ha sottolineato, da un lato, che l’accentramento stride con il carattere territoriale e regionale (place-based) di tali politiche; dall’altro lato, che potranno comunque sorgere difficoltà concrete nel coordinamento di queste ultime con il Pnrr. Insomma, la concentrazione presso la Presidenza del Consiglio delle strutture dedicate al Pnrr e alle politiche di coesione, voluto al fine di aggirare alcuni intralci nell’attuazione dei progetti e procedere con maggiore speditezza, potrebbe costituire esso stesso un intralcio, determinando ulteriori ritardi. Non pare che il governo ne abbia tenuto conto.

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