Appena possono si fanno fotografare insieme, sorridenti, rimarcando che vanno d’amore e d’accordo, quasi come tentativo di auto-convincimento. Salvo poi riprendere le rispettive strategie quando l’obbiettivo della fotocamera viene spostato altrove. E l’anno nuovo non porterà una vita nuova. I brindisi di auguri dureranno il tempo della notte di San Silvestro. Il canovaccio è consolidato. Lei, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e lui, il vicepremier, Matteo Salvini, sono la coppia scoppiettante del centrodestra, maggioranza e opposizione allo stesso tempo. Ma finora sono stati abili: non sono mai arrivati davvero al limite della rottura. È accaduto sulla trattativa sul nuovo Patto di stabilità e poi sulla mancata ratifica del Mes. Era successo sull’immigrazione, con Salvini che rivendica i successi e scarica le responsabilità. Tutti duelli che hanno animato e scosso la maggioranza, scaricando i problemi sulla manovra economica su cui ognuno ha cercato di portare a casa uno strapuntino, quantomeno da poter mettere sul piatto come una vittoria.

Meloni e la “non bella storia”

L’ultimo caso di tensione tra la leader di Fratelli d’Italia e il segretario della Lega è l’inchiesta sul “sistema Verdini”, che coinvolge la famiglia della compagna del ministero delle Infrastrutture. E sembra ruotare intorno al partito di Salvini, sebbene al momento non ci sia un coinvolgimento diretto. Ma la questione scotta, tanto che un esponente del Pd solitamente misurato, come l’ex ministro Andrea Orlando, è uscito allo scoperto, andando all’attacco: «La vicenda Verdini ci parla di cose che, se è possibile, sono più profonde e forse persino più gravi delle eventuali responsabilità penali che dovessero essere accertate, cose che sicuramente non possono essere curate con il processo penale», ha scritto in un post sui social pubblicato di buon mattino. Nei Palazzi della politica la sensazione è che la vicenda non sia destinata a spegnersi nel volgere di qualche giorno, annacquata dai brindisi di mezzanotte a Capodanno. Gli strascichi ci saranno. Da Palazzo Chigi non c’è stato alcun azzardo, non c’è stata una presa di posizione ufficiale, nessuno ha voglia di sbilanciarsi.

Meloni è in fase di ripresa dai problemi di salute, che l’hanno bloccata da ormai dieci giorni. Non ha certo intenzione di impelagarsi in una polemica proprio ora, quando la forma fisica non è al top. Un messaggio è comunque arrivato, ha fatto solo trapelare la propria opinione: «Non è una bella storia». Quindi ha chiesto ai suoi di approfondire le carte dell’inchiesta. La storia dà comunque un’arma mediatica in più a Meloni per tenere a bada eventuali sortite leghiste in materia di giustizia. Nella memoria ci sono ancora le punzecchiature del capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari, alla ministra del Turismo, Daniela Santanchè, nei giorni delle indagini sulle sue aziende. C’è poi ancora aperta la questione del sottosegretario Andrea Delmastro, che non ha visto certo ergersi i leghisti a difensori del fedelissimo della premier. Difficile giocare, almeno in pubblico, la carta del sistema Verdini per indebolire l’alleato-avversario. Sempre che la situazione non precipiti. L’eventualità, da una parte spaventa Fdi, perché intaccherebbe gli equilibri della maggioranza, con conseguenze impossibili da prevedere, ma dall’altra potrebbe spianare la strada dell’egemonia nell’alleanza: Meloni non avrebbe più rivali interni. La linea, dunque, è all’insegna dell’attesa degli eventi. Nessuna fuga in avanti. Più comodo continuare la narrazione di un governo a trazione Meloni che fa miracoli in economica, avanza sul Pnrr, contrasta la disoccupazione, come viene ripetuto in continuazione dal partito della premier. Su questi punti, la Lega è per forza di cose vista come una forza minoritario nella coalizione.

Lega formato (no) Mes

Eppure sul piano strettamente politico, invece, Salvini ha portato a casa qualche risultato. Spiccano i finanziamenti per il ponte sullo Stretto nella manovra. E soprattutto ha dettato la linea sulla bocciatura del Mes. Ha dunque costretto Meloni all’inseguimento su un tema identitario e ora cerca di tenere lontana, facendo finta di niente, la vicenda che riguarda la famiglia Verdini, quella della sua compagna. Nei prossimi mesi si intensificherà la valorizzazione dell’operato leghista, dell’Italia del “sì”, delle infrastrutture. Con quella dose di populismo che lo contraddistingue: del resto può farsi forza di una responsabilità minore rispetto alla premier. Con l'Europa, questa Europa, come nemico designato delle destre, dalla Francia di Le Pen all'Olanda di Wilders. Il nuovo anno, insomma, inizia esattamente come sta finendo quello vecchio: una concorrenza strisciante, nemmeno troppo. All’orizzonte ci sono le Europee. Per la premier è un tagliando giudicato fondamentale: i suoi fedelissimi sono convinti che un buon risultato elettorale di Fratelli d’Italia blinderebbe la legislatura e garantirebbe la permanenza della leader a Palazzo Chigi. Salvini punta al rilancio dopo la debacle delle politiche del 2022. L’obiettivo è il recupero di consensi al Sud, grazie alla bandiera del Ponte sullo Stretto, ormai marchio distintivo del suo mandato al Mit. Perciò i due dioscuri del governo continuano a tirarsi calcetti reciproci, senza cercare di farsi scoprire troppo dal circondario mediatico e politico. Anche perché al voto europeo i due partiti corrono per diverse famiglie in aperta competizione.
Così sullo sfondo resta il terzo incomodo, quello che viene ormai considerato junior partner della coalizione: Forza Italia. Antonio Tajani vive una condizione singolare: è il vincitore annunciato del congresso di febbraio, ma è già un leader azzoppato. Nel partito la sua linea vede aumentare la pattuglia degli scontenti. Sul Superbonus ha conquistato una misura di facciata, in legge di Bilancio non ha portato niente a casa. Così se dentro Forza Italia è visto con scetticismo, i colleghi di coalizione lo considerano marginale. L’unica preoccupazione è il possibile big bang forzista dopo le elezioni Europee. Un bottino di voti in libera uscita che ingolosiscono sia Meloni che Salvini. E aprono un altro fronte di concorrenza.

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