Le dimissioni di Nicola Zingaretti certificano un'evidenza che era già sotto gli occhi degli osservatori più attenti: la caduta di Giuseppe Conte avrebbe travolto, prima ancora che il Movimento Cinque Stelle, proprio il Partito democratico e il suo leader.

Ci sarà tempo per capire gli effetti a catena della mossa del segretario, e per analizzarne le cause profonde della crisi di un partito nato male e gestito peggio, che ha visto in appena 13 anni di vita tre-quattro scissioni e l'addio al Nazareno di quattro segretari.

Per ora, si possono indagare le concause che hanno portato, in questi ultimi giorni, il presidente della Regione Lazio a varcare il suo Rubicone. In primis, Zingaretti considera «inaccettabili» le critiche arrivate dalla corrente di Luca Lotti e Lorenzo Guerini, ex renziani che da mesi puntano a sostituire il capo. Ma il romano definisce «insopportabili», al limite dell'ingiuria, non solo le manovre di Base riformista, ma pure le interviste (ormai pubblicate con cadenza quotidiana) di importanti esponenti di quello che è il cosiddetto partito dei sindaci: democrat di peso come Dario Nardella, Giorgio Gori, insieme a governatori come Stefano Bonaccini, sparano sul pianista bordate considerate non solo ingenerose, ma pericolose per la tenuta dell'unità di un partito che viaggia da tempo verso una balcanizzazione che ha pochi precedenti.

La goccia che ha fatto traboccare la pazienza di quello che fu Re Tentenna (difficile che il nomignolo resti lo stesso dopo la scelta di oggi) è stato però un sondaggio pubblicato due giorni fa da Swg, in merito agli effetti politici di una possibile nuova leadership di Giuseppe Conte in capo al Movimento Cinque Stelle. Lo studio, presentato da Enrico Mentana al Tg de La7, assegna ai grillini una crescita al 22 per cento e vede il Pd sprofondare al 14. Cifre ipotetiche che da due giorni vengono usate come una clava nelle chat e nelle discussioni dei gruppi parlamentari, con senatori ed onorevoli critici verso le strategie dell'ex comunista. «Un sondaggio senza riscontro alcuno è diventato metafora definitiva dei presunti errori in cui è precipitato il Pd durante la segreteria di Nicola. È una follia a cui bisognava porre fine», spiegano dal Nazareno.

Stanchezza del leader

Zingaretti, stanco e amareggiato, considera gli attacchi iniqui e del tutto strumentali. Sa che di abbagli ne ha presi, che aver dato troppa libertà alle correnti è stato esiziale, e che la linea mal comunicata del “Conte o morte” è stata un suo errore. Ma ha pure ricordato ai suoi uomini che lui, nell'estate del 2019, non aveva alcuna intenzione di fare un governo con l'M5S e con Conte, e che avrebbe voluto andare alle urne subito per giocarsela con Salvini nel post Papeete.

Fu invece proprio Renzi, e l'ala renziana rimasta nel Pd che temeva di essere spazzata via dalle nuove liste del segretario, a inventarsi il Conte Bis. Una medicina che Zingaretti ha trangugiato malvolentieri.

A quel punto, inserito a forza in un governo che non voleva, ha provato a fare l'unica cosa che sembrava sensata in assenza di alternative politiche: strutturare un patto duraturo con il M5S, in modo da costruire un campo di centrosinistra capace di competere alle elezioni con una destra data maggioranza in ogni rilevazione. «L'appoggio a Conte era strumentale a questo disegno politico», ragiona ora disgustato da chi – dopo averlo costretto all'abbraccio con i grillini - dieci giorni fa lo accusava di essersi venduto all'avvocato del popolo. Salvo poi imputare (dopo il sondaggio Swg) di «averlo regalato» ai Cinque Stelle che – grazie alla popolarità del giurista – schizzerebbero a percentuali vicine a quelle della Lega.

«Sono critiche schizofreniche. Davanti a un tale impazzimento l'unica cosa da fare subito è un passo indietro, resettando tutto. Non mi faccio rosolare a fuoco lento fino al prossimo autunno. Ora vedremo chi si prende le sue responsabilità», ha spiegato oggi ai pochi che ha avvertito delle dimissioni, senza escludere loro un suo ritorno in partita.

Vedremo se i suoi avversari prenderanno la palla al balzo, e proporranno nuove strategie e nuovi leader da candidare alle primarie. O se, senza idee e senza opzioni alternative, chiederanno a Nicola di tornare suoi suoi passi.

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