L’opposizione di sinistra a manifestare in piazza, il governo di destra a trattare con l’establishment europeo. È la fotografia del primo fine settimana della lunga campagna elettorale che porta al voto europeo del 2024.

Al vertice europeo di Granada, sul patto dei migranti, si è composta la nuova maggioranza Ursula che guiderà l'Unione. Politicamente si muove su tre lati, il Ppe cui appartiene la presidente uscente della Commissione Ursula von der Leyen, candidata alla riconferma, il Pse con il cancelliere socialdemocratico tedesco Scholz e i liberali del presidente francese Macron. Cui si è aggiunta (ma senza dirlo), l'Italia di Giorgia Meloni.

Qualcosa di molto diverso dal ribaltone delle alleanze cui puntava Meloni a inizio estate: fuori i socialisti, dentro i conservatori.

Semmai una larghissima intesa, che mette in contraddizione la premier italiana con se stessa, costretta a mollare i due amici di sempre, il premier polacco Mateusz Morawiecki che milita tra i conservatori con Fratelli d'Italia, e il premier ungherese Viktor Orban che due settimane fa accoglieva Meloni a Budapest con il proposito solenne di «difendere Dio» e venerdì ha accusato l'Unione di voler «stuprare giuridicamente» Polonia e Ungheria. Meloni ha avuto parole di comprensione per tutti: per Orban e per Morawiecki, per il presidente tunisino Kais Saied, per Scholz e per Macron.

Ha fatto impallidire al confronto il ma-anche di Walter Veltroni dell'alba del Pd, che fece la fortuna di Maurizio Crozza («in trattoria dovremo dire che vogliamo la Coca-Cola, ma anche la birra. Vogliamo Madre Teresa, ma anche Veronica Lario»). Giorgia Meloni sta con Francia e Germania, ma-anche con Polonia e Ungheria.

Un ma-anchismo che, intendiamoci, riflette la condizione di fragilità in cui si trovano i principali governi europei, in una cornice internazionale sempre più rovente: alla guerra mondiale a pezzetti di cui parlò papa Francesco si somma un altro tassello con l'assalto di Hamas verso Israele.

Il patto sui migranti riflette più una debolezza che una strategia. Come scrive Timothy Garton Ash in “Patrie” (Garzanti) trascina le forze moderate europee ad accettare come moneta di scambio la retorica delle destre, dal principio di non-respingimento di chi scappa da fame e povertà, di cui ha parlato anche Giuliano Amato, all'organizzazione dei respingimenti con cui si vuol fare calare una nuova cortina di ferro nel Mediterraneo.

Meloni e Bruxelles

La Meloni ma-anchista è in buona compagnia a Bruxelles, sparisce appena si torna nei confini nazionali, dove il governo, con la presidente del Consiglio in prima persona, accusa i tribunali di esondare dai loro compiti, dopo Catania Firenze. In più, c'è l'intimidazione mediatica verso le magistrate che hanno redatto le sentenze: colpirne una per educarne cento. In attesa di aprire il prossimo fronte, quando il parlamento (e il presidente della Repubblica) saranno chiamati a rinnovare i giudici della Corte costituzionale in scadenza.

Sono in tre a terminare il mandato nelle prossime settimane: la presidente Silvana Sciarra (eletta dalle Camere nel novembre 2014), i due vice-presidenti Daria de Pretis e Niccolò Zanon, scelti da Giorgio Napolitano nel novembre 2014. In Polonia è stata una sentenza del Tribunale costituzionale a rendere quasi impossibile l'aborto per le donne polacche. L'erosione dei sistemi democratici in Polonia e Ungheria non sarebbe stata possibile senza l'innesto di giudici di fedeltà sovranista nelle corti supreme. È su questi passaggi che si rischia un cortocircuito politico-istituzionale, finora evitato.

Ieri l’opposizione al governo di Giorgia Meloni è andata in piazza trascinata da un leader indiscusso, il segretario della Cgil Maurizio Landini. Tra un mese ritornerà a manifestare anche il Pd di Elly Schlein, molto festeggiata come non accadeva da anni a un segretario dem in una piazza sindacale e associativa, in mezzo al corteo quasi da semplice militante, a testimoniare l’unità ritrovata con mondi che per un decennio hanno avuto un rapporto difficile con il suo partito.

La sfida nel Pd

La sfida è portare dentro il Pd un pezzo di quell’elettorato che sta ancora a guardare, che non ha scelto, che non si fida ancora.

Di fronte alla Meloni ma-anchista in Europa e sovranista in casa, per Schlein il terreno delle elezioni 2024 è il più congeniale. È la segretaria che ha cominciato la sua avventura politica in Europa, nella sua stessa biografia esprime il rimescolamento delle patrie che è il mondo futuro e non il mondo antico, per anagrafe fa parte di una generazione che si sente europeista per natura e non solo per vocazione.

In Europa Schlein può vantare una radice antica, l'antifascismo di Altiero Spinelli che si fece visione, e un orizzonte più largo di quello asfissiante delle destre. Ma tra il passato e il futuro c'è il presente. È lì che l’Italia scesa in piazza ieri ha bisogno di risposte e di combattività. Per dirla con una vecchia canzone del Consorzio Suonatori Indipendenti: «Non si teme il proprio tempo, è un problema di spazio».

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