Francesco Ruffini, giurista e politico, definiva la libertà religiosa come la «facoltà spettante all’individuo di credere quello che più gli piace, o di non credere, se più gli piace, a nulla». La questione della libertà religiosa e del suo esercizio in uno stato laico è riemersa a seguito della nota verbale del Vaticano consegnata il 17 giugno per via diplomatica all’ambasciata italiana presso la Santa sede.

La nota consegnata da Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli stati, chiede di prendere in esame alcune argomentazioni e di revisionare il testo del disegno di legge «Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità», al centro del conflitto politico per l’approvazione in Senato. Il Vaticano ha contestato la violazione dei commi 1 e 3 dell’art. 2 dell’«accordo tra la Santa sede e la Repubblica italiana di revisione del concordato lateranense» del 1984, che garantiscono alcune libertà alla chiesa e ai fedeli.

Il ddl Zan, secondo il Vaticano, se dovesse essere approvato senza modifiche al testo negherebbe le libertà garantite dal concordato, in particolar modo «nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere», si legge nel testo.

«Uno stato sovrano, la Santa sede ha presentato una nota informale a un altro stato, l’Italia. È la procedura classica. Ciò che è anomalo è l’intervento su un atto giuridico non perfetto, un disegno di legge. Ma lo ha fatto, come ha precisato il segretario di stato Pietro Parolin, al fine di favorire un ulteriore dibattito sul tema», spiega Francesco Clementi, professore di diritto pubblico all’università di Perugia. Parolin, dopo la pubblicazione della nota, ha precisato che l’intenzione delle autorità vaticane non era quella di bloccare la legge. Francesco Margiotta Broglio, giurista che dal 1984 al 2014 è stato a capo della commissione paritetica prevista dal concordato, ha riferito a Repubblica che le critiche da parte del Vaticano «sono più che legittime, ma se vogliono tradurle in legge, visto che siamo in democrazia e non in uno stato assoluto come è invece il Vaticano, devono trovare un partito che se ne faccia portatore in parlamento».

Paolo Cavana, professore di diritto canonico ed ecclesiastico della Lumsa, definisce il contenuto della nota «rispettoso delle prerogative del parlamento e del governo». La Santa sede chiede di rivedere la formulazione del testo che prevede una «discrezionalità troppo ampia dell’interprete, ossia del giudice, a causa della presenza di concetti vaghi, talora controversi, e di espressioni ambigue. I contenuti di alcune omelie e prediche sul matrimonio e la morale sessuale, condivisibili o meno, l’insegnamento religioso a scuola, potrebbero essere messi sotto accusa penale in quanto ritenuti incitamento alla discriminazione sulla base del sesso, dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere», continua Cavana.

Pluralismo delle idee

Il disegno di legge in questione amplia la tutela che assicura la legge Mancino per punire i crimini d’odio e di incitamento all’odio per motivi di razza, etnia o religione, estendendo l’applicazione dell’art. 604 bis del codice penale alle discriminazioni per sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. Il Servizio studi Senato ha confermato, come sostenuto dai promotori della legge, che l’obiettivo della disposizione non è quello di limitare la libertà di espressione né la libertà religiosa. L’articolo 4 del disegno di legge tutela, infatti, il pluralismo delle idee e la libertà delle scelte, confermando la libertà di espressione assicurata dalla Costituzione.

Sulla vicenda si è espresso il presidente del consiglio Mario Draghi, che il 23 giugno scorso ha riferito al Senato, senza entrare nel merito della questione, perché di competenza parlamentare. «Mi preme ricordare che il nostro è uno stato laico, non è confessionale, quindi il parlamento ha tutto il diritto di discutere e legiferare», ha affermato il premier, «il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per verificare che le nostre leggi rispettino sempre i principi costituzionali e gli impegni internazionali, tra cui il concordato con la chiesa. La laicità non è indifferenza dello stato rispetto al fenomeno religioso. La laicità è tutela del pluralismo e delle diversità culturali».

Il discorso di Draghi, da molti considerato non innovativo, ha sottolineato due punti cardine delle relazioni tra stato e chiesa. Ha infatti ricordato che il principio di laicità, insito nello stato italiano, è un principio supremo, che non può essere messo in dubbio neanche da una norma costituzionale. Draghi però aggiunge che il principio di laicità dell’ordinamento italiano «è un principio di fattispecie aperta, ancorato all’art. 2 della Costituzione. La laicità come principio supremo di fattispecie aperta è un metodo prima che un principio giuridico», spiega Clementi. L’Italia quindi interpreta la laicità non come indifferenza o ostilità nei confronti delle religioni ma, come ha specificato la Corte costituzionale in una sentenza del 1989, «come garanzia dello stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale».

Non è il modello francese

Questa lettura si differenzia dalla laicità «alla francese» che si fonda su un principio chiuso, secondo cui esiste una rigida separazione tra lo stato e le confessioni religiose.

Dalla vicenda è dunque emersa la centralità di un sistema basato sul concordato, un documento presente nei Patti lateranensi del 1929, e poi sostituito dal nuovo concordato del 1984, l’Accordo di villa Madama.

A partire dal 1984, lo stato italiano ha iniziato a stipulare intese con diverse organizzazioni religiose, ma l’assenza di una legge sulla libertà religiosa, secondo molti, ha determinato uno squilibrio nei rapporti tra lo stato e le varie comunità religiose. «Questo paese ha bisogno di una norma sulla libertà religiosa per superare le discriminazioni e le diversità tra le differenti confessioni. Anzi, per essere chiari, tenuto conto del punto in cui siamo arrivati: sine lege, nulla salus (senza legge, non c’è salvezza)», afferma Clementi, relatore per i costituzionalisti italiani al loro convegno nazionale con una relazione sulla libertà religiosa e il principio di uguaglianza.

Per altri, invece, la libertà religiosa è già assicurata dal sistema pattizio vigente, che va però esteso ad altre confessioni religiose. Cavana individua, infatti, un rischio: «Una legge sulla libertà religiosa dovrebbe avere carattere generale ma le confessioni religiose sono realtà molto differenziate tra loro».

Un punto di equilibrio

Difficile dire quali saranno le conseguenze dell’intervento del Vaticano nell’approvazione del disegno di legge, anche se la proposta di Italia viva di emendare la distinzione sull’identità di genere, concentrandosi sulle aggravanti per i reati motivati da omotransfobia, sembra andare nella direzione del compromesso auspicato dalla Santa sede.

In questi giorni si deciderà se il ddl Zan potrà giungere in aula al Senato il 13 luglio. Il Partito democratico, partito di Alessandro Zan, chiede che venga approvato senza modifiche, poiché alla Camera sono sempre state ascoltate con grande attenzione tutte le preoccupazioni.

Le pressioni per cambiare il testo però sono molte. Il centrodestra chiede la revisione di almeno tre disposizioni e la manovra del partito di Renzi ha cambiato ulteriormente lo scenario, mettendo in dubbio l’approvazione al Senato.

Tocca ad Andrea Ostellari, senatore della Lega e presidente della Commissione giustizia, «farsi carico di questo fatto politico che è diventato giuridico e trovare il nuovo punto di equilibrio. Pensare che tutto questo non sia mai esistito, degrada il dibattito tra Santa sede e stato italiano, e degrada la qualità del dibattito. È assurdo che un dialogo tra stati non arrivi in parlamento», conclude Clementi.

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