Sono circa trent’anni che a unire i partiti di centro-sinistra è la retorica della demonizzazione del centro-destra. In trent’anni, mentre la coalizione di destra, pur con i suoi cambiamenti e i suoi distinguo, è rimasta solida e compatta e si presenta a settembre al voto senza troppi sconvolgimenti, nell’asse di sinistra nessuno è stato capace di costituire partiti solidi, leadership credibili, alleanze affidabili.

Il motivo di questo fallimento di una intera classe politica è dovuto al fatto che a sinistra il solo collante è stato l’avversario politico, dapprima Silvio Berlusconi poi Matteo Salvini e ora Giorgia Meloni. Il “pericolo” della vittoria delle destre è divenuto, così, l’unico motivo per cui votare a sinistra, il fattore aggregante di forze politiche molto eterogenee tra di loro.

In questi trent’anni, a sinistra, tutti i partiti sono cambiati, e il solo rimasto – pur cambiando nome – è il Partito democratico. Per il resto è il deserto dei tartari perché i mille partiti personalistici si sono sciolti come lo zucchero nell’acqua al primo giro di cucchiaio, perché nessuno ha ragionato di piattaforme politiche di lungo periodo, perché una volta all’opposizione è mancata ogni visione di alternanza politica, perché una volta al governo ognuno andava per la propria strada, perché la mobilitazione dell’elettore (considerato tale solo nei due mesi di campagna elettorale) è sempre stato chiamato a votare per impedire qualcosa e qualcuno, non per fare.

Le elezioni del 2001

La strategia della demonizzazione, chiariamoci, ha funzionato, almeno in parte, vent’anni fa: nell’aprile 2001, dopo 4 governi di centro-sinistra (Romano Prodi, i due guidati da Massimo D’Alema, Giuliano Amato), la campagna elettorale condotta da Francesco Rutelli – all’epoca leader della coalizione dll’Ulivo – è stata tutta basata sulla demonizzazione di Berlusconi dipinto, da intellettuali come Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone, Parolo Sylos Labini e Alessandro Pizzorusso, come un vero pericolo per la democrazia.

Secondo le analisi post elettorali pubblicate sulla Rivista italiana di scienza politica nel dicembre 2001, nonché i dati dell’Osservatorio Ipso e dell’Italian National Elections Studies (Itanes), l’Ulivo è riuscito, in tal modo, a convincere gli indecisi ad andare a votare e a votare per il centro-sinistra, e a spingere gli elettori di Rifondazione Comunista e Italia dei Valori (non coalizzati nell’Ulivo) a preferire i partiti coalizzati così da non disperdere il voto. L’effetto fu un recupero di almeno 3-4 punti percentuali, non sufficienti, come si sa, per la vittoria.

La sfida del presente

Ma la demonizzazione, allora come ora, non basta. Sono passati vent’anni, è cambiato radicalmente il sistema elettorale, e ci sono intere generazioni di elettori che non conoscono le ragioni di quella «mobilitazione drammatizzante» e che oggi, con i social, trovano spazi multipli di informazione (e disinformazione).

Oggi la demonizzazione avrebbe solo l’effetto di radicalizzare lo scontro in un “noi” e “loro” mentre l’elettore chiede, specialmente dopo la rovinosa caduta del governo Draghi, stabilità, certezze per il futuro, capacità di governare – tutti elementi che un gruppo di partiti di centro-sinistra alleati contro qualcuno e non per qualcosa non sono in grado di assicurare (e la storia lo conferma).

Perfino in Francia, dove per anni la demonizzazione della destra estrema ha funzionato per portare voti ai moderati, la retorica di votare per salvare il paese dal pericolo del “nemico nero” non funziona più. Mentre alle presidenziali Emmanuel Macron è riuscito a vincere di misura grazie ai voti della sinistra (e grazie al fatto che si votava sul singolo nome candidato presidente), alle legislative gli elettori di sinistra hanno preferito non votare, consegnando la vittoria nei collegi alla destra di Marine Le Pen piuttosto che votare per un candidato macronista.

Macron, che ha basato tutta la campagna elettorale per il secondo turno delle legislative sul “fronte repubblicano” per bloccare le destre, ha perso sonoramente la maggioranza e ora si ritrova in assemblea nazionale, per la prima volta, con il partito di Le Pen che costituisce il terzo gruppo parlamentare per ampiezza.

I leader dei partiti di centro sinistra ripropongono slogan vecchi di venti o trent’anni e, come allora, sembra che l’unico elemento unificante sia la paura di perdere le elezioni o a che a vincerle sia Meloni. Nel frattempo, però, gli elettori sono cresciuti, il mondo è cambiato, la povertà è aumentata e il potere di acquisto radicalmente diminuito, i dati macroeconomici sono sempre più in peggioramento, la pandemia non accenna a finire e il mondo della comunicazione è governato da attori senza volto che possono con facilità distorcere qualsiasi informazione.

In questo contesto demonizzare l’avversario rischia di facilitarlo perché sposta il campo dalle cose concrete alle questioni morali – tema, questo, che non fa più presa sull’elettore. Occorre, invece, dimostrare di essere vera alternativa di governo con pochi essenziali punti (lavoro, diritti, scuola, salute, ambiente, giustizia) sui quali definire già le risposte concrete (con disegni di legge già scritti e pronti ad essere presentati subito dopo il giuramento del governo) trovando il consenso dei partiti coalizzati. Le elezioni si vincono dimostrando di saper governare, non di saper perdere.

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