Era fine aprile 2013. Alla fine dell’anno precedente il governo dei professori di Mario Monti era andato in crisi e appena un mese prima si era consumata la non-vittoria di Pierluigi Bersani contro il centrodestra di Silvio Berlusconi. La coalizione guidata dal segretario del Pd aveva ottenuto uno zero virgola in più degli avversari e il diabolico meccanismo del Porcellum – la legge elettorale costruita dal leghista Roberto Calderoli nel 2006 – gli aveva consegnato la maggioranza assoluta solo della Camera e non del Senato.

E’ in questa situazione di stallo che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – appena rieletto per il secondo mandato presidenziale da un parlamento senza guida – dà a Enrico Letta l’incarico a formare l’esecutivo, per cui viene coniata la definizione di governo “di larghe intese”.

Il modello è quello della Große Koalition tedesca, in cui i due schieramenti politici contrapposti si accordano per formare un governo: nel caso di Letta, la mediazione si trova tra il Partito democratico e quello che allora era il Popolo delle Libertà di Berlusconi.

Nei suoi 300 giorni di governo, Enrico Letta attraversa una scissione nello schieramento alleato, le primarie del Pd che incoronano Matteo Renzi (che poi lo sostituirà con il famoso «stai sereno») e diverse polemiche giudiziarie legate ai suoi ministri.

Politicamente, invece, approva le leggi che aboliscono l’imposta sulla prima casa e il finanziamento pubblico ai partiti, ma soprattutto si impantana nelle secche della annosa riforma elettorale e della riforma del mercato del lavoro.

L’alleanza col centrodestra

Il primo elemento che contraddistingue l’esecutivo è l’alleanza obbligata con il Popolo delle Libertà, che esprime anche quattro ministri, tra cui il “delfino” Angelino Alfano come vicepresidente del Consiglio e al dicastero dell’Interno. Il patto però dura poco, appena sei mesi: in novembre, alla viglia del voto sulla legge di Stabilità, arriva in parlamento la grana della decadenza da senatore del leader Silvio Berlusconi a causa della legge Serverino.

Proprio su questo nodo si consuma la crisi: Berlusconi decide per la rifondazione di Forza Italia e lo scioglimento del Pdl e avverte: «E’ molto difficile essere alleati con chi vuole uccidere politicamente il leader di un partito». Infatti, il partito si scinde e nasce il Nuovo centrodestra di Alfano, a cui passano tutti i ministri del governo e che mantiene in piedi l’esecutivo Letta.

Il mese successivo, anche il Partito democratico va a primarie e vince con una maggioranza del 67 per cento l’allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che da subito inizia a martellare l’esecutivo chiedendo un «cambio di passo» e a fare asse proprio con Berlusconi, con cui inizia a lavorare a una riforma della legge elettorale.

Si forma così, nel mese successivo, un primo punto di scontro: Renzi e Berlusconi ragionano di una legge elettorale sulla falsariga del Mattarellum ma con premio di maggioranza; Letta e Alfano invece puntano a una legge a doppio turno. Il Pd renziano, poi, attacca la legge di Stabilità definendola «di galleggiamento» e parlando di «errori e marchette». Fino alla drammatica direzione del Pd del febbraio 2014 che prelude alle dimissioni di Letta e approva all’avvicendamento con Renzi.

Le riforme

Dal punto di vista legislativo, del governo Letta si ricordano due legge in particolare. La prima è l’abolizione dell’imposta sulla prima casa, che fa parte delle proposte del programma del centrodestra e viene inserita nella legge di Stabilità, nonostante le resistenze del ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, preoccupato per la riduzione delle entrate.

L’altra iniziativa, invece, è la legge che abolisce il finanziamento pubblico ai partiti a partire dal 2017 con l’eliminazione progressiva dei rimborsi elettorali, lasciando solo le forme di finanziamento indiretto come i contributi ai gruppi parlamentari per finanziare le attività istituzionali e il 2 per mille che i contribuenti possono destinare ai partiti nella dichiarazione dei redditi, oltre alle donazioni private.

Uno dei temi caldi su cui il Pd incalza il governo è quello migratorio per l’abolizione della legge Bossi-Fini. Nell’ottobre 2013, in seguito alla tragedia Lampedusa che provoca 370 morti dopo il naufragio di un barcone proveniente dalla Libia, il governo Letta approva la missione militare Mare nostrum, che prosegue per un anno (nell’ottobre 2014 viene sostituita da Frontex), a cui prendono parte la marina e l’areonautica militare per presidiare il canale di Sicilia e salvare in mare i migranti provenienti dalle coste libiche.

E’ con il decreto Milleproroghe che il governo Letta commette i primi passi falsi, diventando bersaglio non solo delle opposizioni ma anche degli attacchi interni del Pd renziano. In particolare, il pasticcio riguarda il cosiddetto decreto “salva-Roma”, che deve ripianare i debiti della Capitale arrivati a 864 milioni di euro ma diventa il contenitore di norme che finanziano misure per altre città, dalla Calabria alla Val d’Aosta.

Per risolvere la quasi crisi di fine anno, era servito l’intervento di Napolitano che, esprimendo «forti perplessità», aveva bloccato la conversione del decreto.

I casi giudiziari

Ad azzoppare ulteriormente il governo Letta sono stati anche alcuni casi giudiziari che hanno riguardato i suoi ministri. Il primo riguarda la ministra dello Sport e delle Pari opportunità, Josefa Idem: appena due mesi dopo la sua nomina emergono irregolarità nella gestione del suo patrimonio immobiliare, da cui deriverebbe un’evasione fiscale, e la ministra è costretta a dimettersi prima che il Senato voti la mozione di sfiducia proposta dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega nord.

Lo scandalo maggiore ha riguardato la ministra delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo, che si dimette nel gennaio 2014 dopo la notizia del suo presunto coinvolgimento nella irregolare gestione delle nomine dell'Asl di Benevento.

La ministra, pur in quel momento non indagata, sceglie il passo indietro prevenendo la mozione di sfiducia delle opposizioni, «per salvaguardare la mia dignità» ma attacca il governo «che non mi ha difesa». Il procedimento giudiziario si è concluso nel dicembre 2020 e De Girolamo è stata assolta dalle accuse «perchè il fatto non sussiste».

Al centro delle polemiche giudiziarie era finita anche l’ex prefetto e ministra tecnica della Giustizia vicina a Napolitano, Annamaria Cancellieri. Dopo la pubblicazione di alcune intercettazioni, la Guardasigilli viene accusata di aver esercitato pressioni per favorire la scarcerazione della figlia dell'amico Salvatore Ligresti, coinvolta nell’inchiesta Fonsai per falsificazione di bilanci societari.

Cancelleri non si è dimessa ma è intervenuta in parlamento confermando di non essere intervenuta su alcuna vicenda processuale ma di essersi attivata per ragioni «umanitarie» a causa delle condizioni di salute della detenuta.

 

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