Costi più alti per le regioni del Mezzogiorno, aumento della frammentazione del paese e di conseguenza delle disparità dei servizi sui territori. L’autonomia differenziata si presenta come un “liberi tutti” con effetti imprevedibili anche per il nord.

Il motivo? «Le procedure previste dal disegno di legge presentano un quadro potenzialmente disomogeneo, in quanto sembrano prevedere percorsi differenti fra intese stipulate prima e dopo l’approvazione dei decreti legislativi», scrive l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) nella memoria depositata per l’audizione di giovedì sulla determinazione dei Lep, il perno intorno a cui ruota la riforma del governo.

Il provvedimento rischia di aumentare i «divari» – scrive il consigliere dell’Upb, Giampaolo Arachi – sui territori. Un guaio per il sud, ma un’incognita anche per il nord. Il documento dell’Ufficio evidenzia le storture del ddl Calderoli, giunto ormai pochi passaggi dall’approvazione finale. Il testo è approdato alla Camera dopo il via libera al Senato al termine di un tortuoso iter. Ma scatenando scene di giubilo nella Lega di Matteo Salvini.

Frankenstein istituzionale

Certo, i toni dell’Ufficio parlamentare di bilancio sono tecnici e vanno nella direzione di indicare gli strumenti necessari a realizzare un cambiamento dalla portata epocale, come l’autonomia differenziata. Dunque non uno stop alla riforma, compito che non spetta a un organismo terzo, ma un elenco di cosa bisognerebbe fare per evitare che la macchina vada in panne alla prima curva.

Fioccano perciò i rilievi, con una conferma sullo sfondo: la consistenza del fondo perequativo infrastrutturale destinato al sud, come rivelato da Domani, è «stata ampiamente ridimensionata» nell’ultima manovra del governo Meloni. Era una bussola fondamentale, anche per l’azione di monitoraggio per analizzare i divari esistenti.

I problemi abbondano, dunque. Si va verso un aumento dei costi per le regioni meridionali con l’individuazione dei Lep (livelli essenziali di prestazione) previsti dall’autonomia differenziata. «L’eventuale fissazione di nuovi Lep per servizi su cui le norme attuali non garantiscono l’uniformità sul territorio (come accade, ad esempio, per il tempo pieno nelle scuole) richiederà invece un incremento di spesa nelle regioni con livelli di fornitura più bassi», evidenzia il dossier. Tradotto: ci saranno maggiori esborsi a fronte di un servizio probabilmente di minore qualità pure sull’istruzione.

E non è difficile immaginare che la questione sia più pressante per Campania, Calabria, Puglia rispetto a Lombardia, Veneto e Piemonte. «Qualche ente potrebbe ricevere risorse inferiori a quelle necessarie a finanziare i Lep in base alle valutazioni nazionali», prosegue il documento dell’Ufficio, evidenziando che «non è chiaro come dovrebbe essere assicurata la coerenza tra la garanzia del finanziamento dei Lep su tutto il territorio, attraverso la copertura dei relativi costi standard, e l’applicazione di criteri difformi per la valutazione dei fabbisogni standard nelle diverse regioni».

Insomma, si prospetta un Frankenstein istituzionale senza un accentramento delle valutazioni e di una definizione univoca dei fabbisogni. Il che vuol dire che l’Italia verrà tagliata in malo modo.

Infrastrutture tagliate

Ci sono punti specifici finiti sotto la lente di ingrandimento: «Quanto alla definizione dei tetti sulle diverse voci di spesa (in particolare, sui costi del personale) e agli investimenti, la richiesta sembrerebbe rispondere alla necessità di gestire i bilanci con maggiore flessibilità e di rafforzare il personale delle pubbliche Amministrazioni e la spesa in conto capitale», analizza il dossier.

E questa maggiore flessibilità «se concessa solo alle regioni più dotate rischierebbe di aumentare i divari territoriali». A cominciare dalla sanità, uno dei punti dolenti della riforma leghista, avallata da Meloni.

C’è un altro capitolo che riguarda l’autonomia ed è centrale: la differenza infrastrutturale. La qualità di strade, la presenza di ponti, il miglioramento delle ferrovie può divaricarsi ulteriormente. Sempre a vantaggio del nord.

«In presenza di non trascurabili differenze nelle dotazioni infrastrutturali, la perequazione delle risorse correnti tramite Fas (Fondi aree sottosviluppate, ndr) non è sufficiente a garantire una reale parità di accesso ai servizi sul territorio nazionale», è messo nero su bianco sulla memoria consegnata dall’Upb. Un velato appello a impiegare nuove risorse oltre a quelle cancellate dal fondo perequativo infrastrutturale.

Il dato politico è evidente: da un lato la maggioranza, sotto la spinta della Lega, continua a decantare il provvedimento in nome della propaganda, mentre dall’altra parte i tecnici invocano una maggiore attenzione al dossier. Uscendo dallo storytelling che guarda alle elezioni.

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