Gira per Napoli. Fa jogging sul lungomare. Va in vacanza sui monti e si concede ardite arrampicate. A casa ore al computer, sui social. Antonio Bassolino ha buttato nelle acque di Mergellina i suoi 73 anni. E’ tonico e ringiovanito, pronto per altre battaglie. Merito dei tre pacchetti quotidiani di Winston mai più fumati da anni, ma soprattutto delle diciannove assoluzioni nei processi per lo scandalo della gestione dei rifiuti. Primo avviso di garanzia nel 2007, ultima assoluzione pochi giorni fa, dopo aver rifiutato la prescrizione.

«Parla con Napoli» l’ex operaista di Afragola, funzionario e dirigente del Partito comunista pupillo di Pietro Ingrao ma inviso all’ala “migliorista”, Amendola, Chiaromonte, Napolitano, che in via dei Fiorentini (il Cremlino napoletano) contava e come. Prende l’autobus, il 140, detto il bus chiamato desiderio perché non passa mai, e racconta i suoi incontri su Facebook. «L’altro giorno ho ceduto il posto ad una signora con le buste della spesa. Nonostante la mascherina mi ha riconosciuto. Voi siete il sindaco. No, signora, sono l’ex sindaco. Ma quale ex e ex, voi per me siete sempre il sindaco di Napoli». Sceneggiatura alla De Filippo. Ma l’uomo che fu due volte sindaco della città, due governatore della Campania e ministro, è un abile regista di se stesso. Paolo Sorrentino ricostruisce una Piazza Plebiscito anni Ottanta del secolo scorso, con centinaia di macchine parcheggiate, e lui è sul posto. Si fa un selfie e lo pubblica. E giù centinaia di post che ricordano la prima rivoluzione dell’epopea bassoliniana, la trasformazione di quella bellissima piazza in isola pedonale. Era il 1993, un’era politica geologica, quando Bassolino si candidò a sindaco. Avversaria Alessandra Mussolini, che dalla sua aveva il fatto di essere la nipote dell’amatissima Sofia Loren. La città era allo sbando, la politica travolta dagli scandali con 18 consiglieri comunali inquisiti. La “banda dei quattro”, come allora definivano il potere napoletano nelle mani di Gava, Pomicino, Di Donato, e Di Lorenzo, in fuga. E fu un trionfo. L’Italia e il mondo esaltarono il “Rinascimento napoletano” (e non sbagliarono). Poi vennero anni di normale amministrazione, di salto alla Presidenza della Regione, di mediazioni. E di monnezza. Le diciannove assoluzioni mettono un timbro giudiziario definitivo sull’onestà di Antonio Bassolino, ma non cancellano gli errori politici nella gestione dell’emergenza rifiuti. L’ex sindaco di Napoli fu commissario per quattro anni, dopo di lui si sono avvicendati Guido Bertolaso e Gianni De Gennaro, una sequela di prefetti e vice, commissari e sub-commissari. Il risultato è catastrofico: 5 milioni di tonnellate di ecoballe accumulate nei decenni e non ancora smaltite, la crescita di tumori e malattie nelle aree più inquinate.

In questi anni di processi, Bassolino, e gli va riconosciuto, non ha mai attaccato la magistratura. Il suo mantra è stato sempre lo stesso, «sono un uomo delle istituzioni e mi difendo nei processi». Ha resistito anche quando il suo partito, il Pd, lo ha trattato come un reietto, l’immagine di una Napoli lazzarona e corrotta. Nel 2008 l’offesa più bruciante. Si vota per le politiche, Walter Veltroni è a Napoli, Piazza Plebiscito, per un comizio. L’ordine è non far salire Bassolino sul palco, dove c’è anche Massimo D’Alema. L’ex sindaco ingoia il boccone amaro ma non demorde. E’ in piazza, ma tra la gente. «Tengo duro, si combatte», dice ai giornalisti. «La verità è che Antonio è pazzo. Ha voglia di riscatto, non si fermerà mai», è l’analisi che Claudio Velardi fa del suo amico di sempre sulle colonne del Corriere del Mezzogiorno. Pazzo o troppo sano di mente, Bassolino è in campo. Rilascia interviste, parla dei processi, ma soprattutto del futuro di Napoli. Il sindaco Luigi de Magistris è al secondo mandato e non può ricandidarsi. In primavera si vota e Vincenzo De Luca ha lanciato la sua opa ostile sul sindaco da eleggere. Il Pd è spaccato e non sa che pesci prendere. Per il partito di Zingaretti, la figura di Bassolino è ingombrante. Alle ultime elezioni la sua candidatura alle primarie diventò un caso. Lo fermarono, qualcuno sostiene con i brogli e gli elettori pagati. In più c’è il presidente “grillino di sinistra”, Roberto Fico, al quale non dispiacerebbe una sua candidatura con una alleanza Pd- Cinque stelle. Ma la mossa che spariglia il gioco l’ha fatta de Magistris candidando Alessandra Clemente, avvocato e giovane assessore. Una strada tutta in salita quella che l’ex sindaco scalatore vuole affrontare. Ma forse ha ragione Velardi: «Antonio è pazzo».

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