Dopo il salto nel buio del no alla ratifica del Mes, a palazzo Chigi è arrivato il momento della paura. La scelta è stata decisa in un blitz dell’ultimo minuto dalla premier Giorgia Meloni in persona – e non avrebbe potuto essere diversamente vista la portata della decisione – la quale si è mossa in preda a quella che spesso i suoi definiscono «trance agonistica». Incalzata dal nemico-alleato Matteo Salvini, Meloni ha scelto di seguire l’unico faro che la guida quando viene messa alle strette: la ricerca del consenso, fondamentale soprattutto ora che la competizione per le elezioni europee della primavera 2024 è di fatto cominciata anche dentro il centrodestra.

Accettare la sfida di Salvini e dire no al Mes, però, ha un prezzo e solo ora la premier si sta rendendo conto di quanto sarà salato. Tanto da insinuarle il dubbio, sufficiente a guastare il cenone della vigilia di Natale, di aver commesso un errore imperdonabile.

Il fronte interno

La Lega, infatti, ha pienamente rivendicato la vittoria del no al Mes, trionfo del duo euroscettico Borghi-Bagnai e sconfitta cocente del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che nei giorni scorsi ha detto chiaramente che lui al Mes avrebbe «detto sì, ma non era aria» e su questo dovrà intervenire in audizione urgente in commissione Bilancio chiesta dalle opposizioni. Proprio la posizione così esplicita del Mef – che spesso aveva avvertito sui rischi europei di uno strappo del genere – ha fatto capire a Meloni di aver sottovalutato Salvini e il tranello in cui l’ha fatta cadere. Il ministro dei Trasporti l’ha stuzzicata e sfidata fino a costringerla all’estremo gesto di coerenza rispetto agli annunci elettorali. La premier lo ha seguito a testa bassa, senza considerare di avere – rispetto all’alleato – una responsabilità in più rispetto ai suoi interlocutori europei, presso i quali ora la sua credibilità è minata.

Non solo. Elettoralmente parlando, la sensazione nella maggioranza è che il Mes sia un tema poco capito e ancor meno considerato: utile alla Lega che su questo ha marciato, ma molto meno per Fratelli d’Italia che ha sempre puntato su altri argomenti.

Finita appunto la trance agonistica, ora a palazzo Chigi si sta guardando con più lucidità alla prossima sfida elettorale europea a cui Meloni dovrebbe partecipare in prima persona. E inizia a serpeggiare un sospetto: che la vera emorragia di voti rischi di essere al sud, in favore dell’odiato Giuseppe Conte e del Movimento 5 stelle.

Molto più del Mes, infatti, al meridione è arrivato forte e chiaro il taglio netto e traumatico del reddito di cittadinanza, con le nuove e ridotte misure sostitutive introdotte dal ministero del Lavoro ancora poco chiare e di difficile accesso. È quello che si ricorderanno gli elettori vecchi e potenziali della premier, al momento di entrare nelle urne.

Prevale linea che punta a ricucitura strappo che di fatto c'e' stato

Il fronte europeo

L’altro errore di calcolo di Meloni ha riguardato le cancellerie europee. Secondo fonti del governo, la premier non si sarebbe aspettata una reazione così dura da parte dei partner europei nel bollarla come inaffidabile. Dopo tutti gli sforzi di costruirsi una credibilità in Europa, «parlando con tutti e 26 gli stati e non solo con Francia e Germania», il castello di carte sembra crollato in un soffio.

Giorgetti l’aveva messa in guardia, avvertendola del suo crescente disagio ad ogni riunione con gli altri ministri dell’Economia e anche delle fortissime pressioni arrivate anche attraverso comunicazioni scritte, l’ultima quella del presidente dell’Eurogruppo Paschal Donohoe. Ora gli effetti rischiano di farsi sentire, se non in modo diretto quantomeno a livello di trattative già in corso.

Uno è quello che riguarda il Pnrr: nessun legame con il Mes né rischi che salti qualcosa visto che i prossimi mesi saranno per tutti di campagna elettorale. Tuttavia da Bruxelles dovrà arrivare il via libera alle ultime rate con la valutazione del corretto raggiungimento di tutti i traguardi. Una valutazione che può essere lenta o veloce, anche a seconda dell’affidamento delle burocrazie unionali rispetto alle informazioni fornite dall’Italia.

Le banche

Un ultimo livello di errore, che però rischia di essere concretamente anche quello più impattante, riguarda la sottovalutazione di Meloni rispetto ai desiderata del sistema bancario italiano. È vero ciò che tutto il governo ha sempre ripetuto: le banche italiane sono piuttosto forti in questa fase, ma i pericoli non sono solo quelli interni. Il mondo bancario, infatti, teme soprattutto la speculazione straniera a cui l’Italia è fortemente esposta anche a causa del debito pubblico.

Questo viene considerato una sorta di pericolo latente e sempre in agguato, che ogni scossone – come appunto la mancata ratifica del paracadute europeo del Mes – potrebbe risvegliare. Questa scelta così repentina è stata poco apprezzata dalla galassia del risparmio italiano, che lo considera l’ennesimo sgarbo dopo quello sulla tassa sugli extraprofitti, di cui il sistema rischia di risentire.

Tutti questi elementi messi insieme sono diventati fonte di pressione e di preoccupazione a palazzo Chigi, che anche di questo dovrà rispondere nella conferenza stampa di fine anno slittata al 28 dicembre, dove ogni parola della premier verrà soppesata, non solo dalla stampa.

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