Prodi: «I dem hanno metà dei voti che servono per vincere, va trovata l’altra metà, Elly lo può fare?». La segretaria e la battaglia contro quel che resta del ddl Calderoli: da qui può nascere l’alleanza
Non disunirsi, non rompere le file. È l’obiettivo numero uno dei partiti dell’opposizione, dopo il no della Consulta al quesito referendario contro l’autonomia differenziata. Per il Pd è l’imperativo categorico: la battaglia per la cancellazione del ddl Calderoli sarebbe stato un formidabile collante per lo schieramento, una strada verso la futura coalizione. Tutti i partiti erano nel comitato promotore, compresa Italia viva. Esclusa Azione, perché Carlo Calenda ha sempre detto che non credeva nella possibilità del quorum. Ma se partiva la macchina, in qualche modo si sarebbe unito alla compagnia.
Invece la Corte ha smontato la pietra su cui Elly Schlein voleva costruire l’alleanza. E ora sui cinque referendum rimasti in piedi è più difficile tenere tutti uniti e compatti. Certo, sul quesito per dimezzare i tempi dell’ottenimento della cittadinanza per gli stranieri sono tutti d’accordo, ma sarà in grado di portare gli elettori alle urne? E poi ci sono i quattro quesiti della Cgil, in primis quello per la cancellazione del Jobs act: nel Pd siamo già alla guerra di posizione.
Sul Corriere della sera Alessandro Alfieri – riformista e membro della segreteria Pd, molto autorevole, molto ascoltato – ha annunciato che non sosterrà quel quesito e chiesto a Schlein di «mettere in evidenza le moltissime battaglie che ci uniscono, non quelle che ci dividono», ricordandole maliziosamente che «praticamente tutta la dirigenza del Pd votò il Jobs act, tra loro anche molti dei principali sostenitori di Elly al congresso: da Bersani a Orlando, da Speranza a Braga».
Iv ha già annunciato i Comitati in difesa della legge. Forse nessuno del Pd si unirà, ma non sono pochi quelli che faranno come Alfieri.
Renzi e il passato molesto
Fra l’altro c’è un precedente a parti inverse, ed è il referendum sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi, dicembre 2016: la corrente di Pier Luigi Bersani (ma non lui) entrò nei comitati per il No, la platea della Leopolda gridò all’indirizzo dell’ex segretario «fuori, fuori». Dopo pochi mesi Bersani, D’Alema e il compianto Epifani guidarono la scissione di Art.1. Un precedente non beneaugurante.
Del referendum sul Jobs act si è parlato a porte chiusissime nella riunione della segreteria Pd. Ascoltato il problema, Schlein ha risposto in maniera diplomatica e anche ironica: «Dobbiamo unire tutti in un grande progetto per l’Italia. Possiamo metterci a litigare sul Jobs act?» La segretaria voterà cinque sì, del resto quel referendum lo ha firmato a favore delle telecamere. Ma la questione non è chiusa, se ne riparlerà ancora in segreteria.
Per Schlein il Pd bisogna restare compatti da qui a quando ci sarà il voto, per portare a casa (al quorum non crede nessuno) almeno un risultato che dia un segnale: la destra alle politiche ha preso 12 milioni di voti. Anche qui c’è un precedente, ancora nel 2016. In primavera fallì il referendum sulle trivelle, ma votarono 16 milioni di persone. Fu l’inizio del disarcionamento di Renzi, allora premier e segretario del Pd.
La segretaria conta sulla battaglia referendaria per mettere insieme il centrosinistra, partiti e popolo. Le è arrivato un nuovo “consiglio” di Romano Prodi, quasi una bordata. «Tra due anni riusciamo a fare una coalizione che possa arrivare al governo? Bisogna da un lato rafforzare il Pd e dall’altro costruire delle alleanze che possano arrivare al 50 per cento più uno dei voti», ha detto a Sky TG24, serve una «strategia complessiva», «una coalizione di ampio respiro», il Pd «non basta», «rappresenta la metà esatta dei voti necessari per vincere le elezioni, adesso dobbiamo trovare l’altra metà».
Prodi: lo può fare Schlein?
Il professore è inarrestabile: «Si può pensare che una sola persona possa giocare questo ruolo? Adesso bisogna creare una coalizione la più ampia possibile. Lo può fare la Schlein? Dipende se lo vuole fare e se ha la capacità di arrivare a questo obiettivo», serve «un programma comune» che «si fa parlando con centinaia e centinaia di migliaia di persone. Io ai vecchi tempi vinsi le elezioni che ero proprio uno “straccione”, avevo un millesimo delle forze di Berlusconi. Le ho vinte perché ho parlato con centinaia di migliaia di persone. Le ho convinte».
Da Rai 1 anche Paolo Gentiloni è sulla stessa lunghezza d’onda: sarebbe un errore trasformare il dibattito in una «fronda contro la segretaria» ma «abbiamo uno schieramento e un profilo di governo sufficiente?»
Schlein non risponde, era alla Camera e ha attaccato alzo zero il ministro Salvini sul caos treni. Lo sa anche lei che serve una coalizione. Per questo chiede di non disperdere le forze, a partire dalle cose concrete. Anche l’autonomia differenziata, che prima o poi tornerà in aula.
Tanto più che il neopresidente della Consulta, Giovanni Amoroso, ha detto senza giri di parole che la legge Calderoli va rifatta: «C’è da ricostruire la base a fondamento della legge». Parole di fronte alle quali i leghisti, e Calderoli in primis, hanno poco da cantare vittoria. «Per il Pd l’autonomia differenziata resta una legge sbagliata che colpisce la scuola, la sanità pubblica, aumenta divari e diseguaglianze. Per questo la nostra mobilitazione continuerà in difesa della coesione e dell’unità nazionale», avverte Marco Sarracino, responsabile Sud del Pd.
Il Pd deve restare vicino alla Cgil, che annuncia l’apertura «di una grande stagione di partecipazione che metterà al centro le persone e le loro libertà sul lavoro e nella vita». E assicurare alle associazioni che non si smobilita.
Dai promotori arrivano malumori («mai visto un comitato promotore che abbia promosso meno di questo», ha detto a Repubblica il costituzionalista Massimo Villone), ma la Cgil presto riunirà tutti per dire che si va avanti. Si va avanti anche secondo il Forum disuguaglianze e diversità. Ora il fronte saranno le modifiche al ddl indicate dalla Corte: «L’impegno può riprendere da subito a partire dall’alleanza che ha permesso di costruire i comitati per il referendum che in pochi mesi hanno raccolto più di un milione di firme».
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