Sono un estimatore nella sua interezza del sistema semipresidenziale francese della Quinta Repubblica. Ha efficacemente portato la Francia fuori dalla palude (l’espressione è di Maurice Duverger) garantendo governabilità e alternanza.

La sua validità è testimoniata anche dalla diffusione che il modello complessivo, con pochi adattamenti, ha avuto dal Portogallo a Taiwan, dalla Polonia ad alcuni stati africani. Pour cause.

Naturalmente, è possibile riscontrare qualche inconveniente, discutibile, cioè da sottoporre a discussione, ma bisogna saperlo fare con le opportune osservazioni “sistemiche”.

Vale a dire che ciascuna componente del sistema deve essere vista e valutata, correttamente definita, nell’ambito complessivo del semipresidenzialismo. Ho l’impressione che Carlo Trigilia, nel suo articolo su Domani del 13 aprile, sia scivolato in un serio fraintendimento guardando al sistema elettorale maggioritario a doppio turno per, alla fine, liquidarlo come inadeguato in sé e ancor più per l’Italia.

Un conto è l’elezione del presidente della Repubblica, un conto alquanto diverso è l’elezione dell’Assemblea nazionale. Sempre di doppio turno si tratta, ma quello per la presidenza è un doppio turno tecnicamente “chiuso”: al secondo turno, correttamente definito ballottaggio, accedono solo i primi due candidati.

Qui non è possibile fare nessun discorso sulla (dis)proporzionalità dell’esito. Piuttosto, è molto probabile che entrambi i candidati cercheranno di offrire il massimo di rappresentanza politica all’elettorato, pur sapendo di avere dei limiti. Alla fine, il vittorioso dichiarerà inevitabilmente che intende rappresentare tutti i suoi concittadini, essere il “loro” presidente e toccherà agli studiosi, all’opinione pubblica, all’opposizione valutare se, come e quanto saprà tenere fede alla promessa.

Il doppio turno per l’elezione dell’Assemblea nazionale è “aperto”, vale a dire possono accedere al secondo turno tutti i candidati che hanno superato una soglia predeterminata, nel caso francese, almeno il 12,5 per cento dei voti degli aventi diritto.

La soglia è alta; è stata spesso messa in discussione; sono state esplorate alternative, ma nata come 5 per cento, arrivata al 12,5, là è rimasta. Sicuramente e inevitabilmente, sovrarappresenta i partiti grandi (premio di “grandezza” non distante, ma molto diverso da un premio di maggioranza) rendendo difficilissima la vita dei partiti piccoli e sottorappresentando quelli che si collocano alle estreme dello schieramento partitico che in Francia e non solo va da destra e sinistra e viceversa.

Non è affatto vero che questo doppio turno premia gli estremisti, come sembra sostenere e temere Trigilia. Al contrario, serve proprio per scoraggiarli e sottorappresentarli a meno che godano di un elevato e diffuso consenso nel qual caso, però, democraticamente vincono il dovuto.

Riferirsi al successo “presidenziale” di Jean-Luc Mélenchon e ai voti di Éric Zemmour per sostenere che la polarizzazione è uno degli effetti deprecabili del doppio turno è semplicemente sbagliato, anche perché il doppio turno, che sarà un ballottaggio, li ha esclusi.

Semmai, si potrebbe deprecare che la vittoria di Emmanuel Macron o di Marine Le Pen dipenda dai voti di quegli specifici elettori etichettati come estremisti. Pronti, non tutti, lo sappiamo, a entrare nell’arena del ballottaggio, saranno costretti a scegliere una candidatura meno estrema di quella votata al primo turno.

Incidentalmente, rispetto alle elezioni del 2017, non c’è dubbio che Le Pen si è deliberatamente “moderata” per conquistare voti gollisti insoddisfatti dalla républicaine Valérie Pécresse. Insomma, le critiche di Trigilia sono fuori bersaglio.       

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