Nel nostro ordinamento la nomina e la revoca dei sottosegretari è disposta con decreto del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio, e, almeno in teoria, non vi è necessità di motivare la decisione. Nella storia repubblica vi sono stati pochi ma significativi casi di sottosegretari revocati.

Il primo risale al maggio 1993 quando il presidente Oscar Luigi Scalfaro, su proposta del presidente del Consiglio Ciampi, revoca Antonio Pappalardo quale sottosegretario al ministero delle Finanze. Il decreto di revoca non riporta i motivi di tale scelta, ma la cronaca di quei giorni riferisce che Pappalardo era stato condannato in primo grado a otto mesi di reclusione per aver diffamato l’allora Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri (la sentenza è stata annullata e il deputato assolto definitivamente nel 1997).

Nel 1998, sempre Scalfaro, su proposta del presidente Prodi, revoca l’incarico al sottosegretario all’Interno Angelo Giorgianni dopo che la commissione parlamentare antimafia ne aveva segnalato possibili legami con la criminalità organizzata (anche questa accusa si rivelò del tutto infondata). Nel revocare Giorgianni, il presidente ritiene necessario motivare l’atto, dando così al decreto la veste di un vero e proprio provvedimento amministrativo, quasi che non fosse la conseguenza di una valutazione politica. 

Le successive revoche seguono questo stesso schema.

Nel 1999, ancora Scalfaro, questa volta su proposta del premier D’Alema, revoca, dal ruolo di sottosegretario al tesoro, Nuccio Cusumano arrestato nell’ambito di una serie di indagini antimafia (è risultato estraneo ai fatti e assolto).

Nel 2002, durante il secondo governo Berlusconi, dopo continue discussioni tra l’allora ministro dei Beni Culturali Giuliano Urbani e il suo sottosegretario Vittorio Sgarbi, il premier propone e ottiene dal presidente Ciampi la revoca di Vittorio Sgarbi.

Il decreto di revoca è un romanzo d’appendice che evidenzia come «il sottosegretario ha assunto  pubblicamente  posizioni  in linea di netto contrasto con le decisioni  collegiali del Governo, tanto che il ministro Giuliano Urbani ha provveduto a revocare le deleghe a lui attribuite” e che “nonostante la grave e delicata situazione venutasi  a determinare, il predetto contrasto e' divenuto insanabile a causa delle posizioni che anche successivamente e ripetutamente Sgarbi ha assunto».

Il caso Siri

L’ultimo caso risale al maggio 2019, durante il primo governo Conte. Il sottosegretario ai trasporti Armando Siri, importante senatore della Lega, viene informato di essere indagato dalla Procura di Roma per corruzione.

Il presidente Conte ne chiede le dimissioni; Siri le rifiuta rivendicando la sua innocenza; alla fine, il 10 maggio 2019, il presidente della Repubblica Mattarella, su proposta del premier, emana il decreto di revoca dell’incarico. Il decreto, però, è pubblicato in Gazzetta Ufficiale dieci giorni dopo perché occorre trovare una quadra politica sul linguaggio da utilizzare nelle premesse.

Alla fine, si legge, Siri è revocato perché indagato, «il presidente del Consiglio dei ministri, valutando la predetta situazione, pur escludendo qualsiasi  apprezzamento  del merito della vicenda, ha rappresentato al sen. Siri l’opportunità di rassegnare le dimissioni dall'incarico al  fine di   consentire  al sottosegretario di  chiarire  la propria posizione in sede giudiziaria”, ma «Siri non ha  ritenuto  di  condividere  la valutazione  di  opportunità  del  presidente». La revoca, nonostante venne presentata come un atto dovuto, rappresentò uno dei fattori della crisi del governo Conte.

L’analisi dei casi evidenzia come la procedura di revoca di un sottosegretario non preveda una mozione di sfiducia da parte del Parlamento: i sottosegretari trovano il proprio fondamento giuridico in una legge ordinaria, la n. 400 del 1988, e non nella Costituzione, essendo, quindi, estranei al rapporto fiduciario che lega il governo alle Camere.

La decisione di revocare promana sempre dal presidente del Consiglio il quale, tuttavia, deve acquisire il consenso di tutte le forme politiche che compongono la maggioranza e, specialmente, di quella che ha espresso il sottosegretario da revocare.

In un solo caso la revoca è stata preceduta dal ritiro delle deleghe conferite dal ministro di riferimento mentre in tutti i casi, a partire dal secondo, si è ritenuto dover spiegare i motivi della revoca. Emerge, infine, un altro dato: con la sola eccezione del caso Sgarbi, i sottosegretari sono sempre stati rimossi dall’incarico perché sottoposti ad indagini penali.

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