Dopo Luca Palamara, il grande accusato di essere stato l’eminenza grigia del correntismo nella magistratura è Cosimo Ferri. Alla guida della corrente conservatrice Magistratura indipendente negli ultimi quindici anni, dal 2013 al 2018 è stato anche sottosegretario alla Giustizia dei governi Letta, Renzi e Gentiloni. E, dopo essere transitato da Forza Italia, Pdl e Pd, oggi è deputato di Italia viva. Cresciuto all’ombra del padre Enrico – magistrato, leader storico di Mi, ex ministro in quota Partito socialdemocratico (di cui è stato anche segretario) transitato poi in Forza Italia, Ccd e Udeur –, Cosimo Ferri ha una carriera fulminante. Nel 2006, appena trentacinquenne, viene eletto al Csm, nel 2011 diventa segretario di Mi e nel 2012 entra nell’Anm. Dentro Forza Italia è soprannominato “il geco”, perché si muove soprattutto la notte: quando va in visita a palazzo Grazioli, residenza romana di Silvio Berlusconi. Ferri rimane il leader più ascoltato di Mi e continua, anche da politico, a incidere sulle scelte interne. Tanto da venire intercettato all’hotel Champagne, insieme a Luca Palamara, Luca Lotti e quattro togati del Csm, mentre discute di chi nominare alla guida della procura di Roma. È l’inizio dello scandalo del Csm, che ha messo fine alla sua egemonia.

Per questo, ora la sua corrente è all’anno zero: da polo più votato sia al Csm che all’Anm, ha subìto il dimezzamento dei suoi eletti e l’estromissione dalla giunta del sindacato delle toghe. La sensazione, tra gli iscritti, è che Mi sia stata trasformata dagli avversari nel capro espiatorio dello scandalo del Csm e venga tuttora considerata la sorvegliata speciale. Con un teorema preciso e parzialmente realizzato: indicare Mi come la più compromessa nella dinamica correntista e costringere alle dimissioni i suoi membri eletti, in modo da sovvertire gli equilibri all’interno degli organi rappresentativi.

Il tramonto di Ferri

Archiviata l’èra di Ferri, Mi ha dovuto prendere in mano il suo futuro. La transizione è stata gestita con oculatezza e senza strappi: con l’assemblea generale del luglio 2019, il vertice è stato affidato a Mariagrazia Arena e Paola D’Ovidio. D’Ovidio, coordinatrice del massimario civile della Cassazione, e Arena, presidente del tribunale di Reggio Calabria, sono magistrate stimate all’apice della carriera, ma lontane dalla grancassa mediatica. Entrambe senza trascorsi in ruoli significativi della corrente e dunque percepite come volti nuovi, sobrie nell’approccio ma comunque non del tutto svincolate dalla precedente squadra. In particolare dall’ex segretario, Antonello Racanelli, che continua a lavorare dietro le quinte nonostante i veleni nei suoi confronti non manchino. Nelle sue conversazioni intercettate con Palamara, commentando il procedimento in corso a carico del magistrato romano, Racanelli dice: «Secondo me la commissione non fa niente sulla pratica tua... su quell’altra bisogna insistere per avere le carte e incominciare a muovere le carte... incominciare a convocare... perché così segnali...». E Palamara conclude, riferito alla nomina a procuratore capo di Roma: «Vabbè, le spalle sono forti... cioè sono più stimolato a portare Viola».

La sfida, oggi, è restituire autorevolezza a Mi dopo la polvere dell’inchiesta e la compromissione con la politica, tornando ai presupposti culturali delle origini. La corrente “tradizionalista” che fu di Paolo Borsellino, infatti, nasce nel 1964 con un preciso intento: contrastare la corrente “progressista” Magistratura democratica, che rivendica una scelta politica di campo, definendosi di sinistra. Mi, all’opposto, rifiuta qualsiasi collocazione partitica. Frutto della nuova segreteria è la manovra di avvicinamento ai fuoriusciti di Unicost con l’obiettivo di creare un blocco di moderati, di cui entreranno a far parte anche i fondatori del nuovo gruppo “Movimento per la Costituzione”, promosso dall’ex Unicost Antonio Sangermano, e pronto a confluire in Mi senza Cosimo Ferri. L’idea di fondo è quella di tornare all’antico bipolarismo, opponendo un’unica forza culturale a quello che oggi è il cartello progressista di Area. Oppure dire addio all’Anm e formare un nuovo sindacato delle toghe.

L’alleanza “moderata”

Anche se l’alleanza moderata non era ancora stata esplicitata, ha già dato buoni risultati elettorali alle suppletive per il Csm dell’ottobre 2019. A vincere è stato il procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere, Antonio D’Amato, sostenuto da Mi e da sempre antagonista di Ferri. Sul suo nome si sono riversati i voti della sua corrente ma anche quelli dei fuoriusciti di Unicost e gli hanno permesso di essere il primo degli eletti con 1.460 voti. Una conferma numerica che rappresenta, di fatto, l’attuale peso della corrente. Proprio in questi numeri, tuttavia, sta il reale problema di chi punta alla ricostruzione del polo “conservatore”: sono troppo pochi per permettere l’emancipazione da Cosimo Ferri e dal suo ricchissimo portafoglio elettorale. Chi tra i togati predilige la Realpolitik dice: «Ferri continua a influenzare i processi elettorali. Il suo pacchetto di voti si aggira intorno alle 2.000 preferenze e lui è ancora in grado di convogliarle su uno qualsiasi dei candidati al Csm». Tradotto: se prima i voti finivano a un esponente di Mi, ora Ferri li dirotterà su chi vuole sulla base della fedeltà personale.

La galassia di Mi, però, è ulteriormente divisa. C’è il polo formato dalla segreteria, che vede tra i suoi leader proprio il togato del Csm, Antonio D’Amato; un altro leader di peso è l’ex membro del Csm, Claudio Galoppi, considerato vicinissimo all’ex Guardasigilli Nitto Palma: entrambi ruotano nell’orbita della presidente del Senato in quota Forza Italia, Elisabetta Casellati, il primo come consigliere per gli Affari giuridici, il secondo come capo di gabinetto. Su altro fronte, in rientro tra le fila di Mi è dato anche l’ex presidente dell’Anm, Pasquale Grasso, che aveva lasciato la corrente dopo la sostanziale sfiducia della sua leadership, perchè aveva chiesto le dimissioni dei togati del Csm presenti con Ferri all’hotel Champagne. Politicamente Mi ha attaccato il governo e la proposta di riforma del Csm, sostenendo che non neutralizzi, ma rafforzi l’egemonia delle correnti. Il tentativo è quello di catalizzare il malcontento nei confronti del sistema correntizio, nella speranza di raccoglierne il consenso. Del resto, a sistema immutato, il punto di caduta della corrente orfana del leader che da solo catalizzava il consenso, è sempre lo stesso: quello elettorale.

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