Il mito dell’unità infrangibile del centrodestra viene scalfito già a sei mesi dalle europee. Basta l’aria di campagna elettorale ed è già un “tutti contro tutti”. Un trailer delle tensioni che scuoteranno palazzo Chigi da qui a giugno. Tanto da far temere strappi netti. Per questo i vertici politici sono all’opera per scongiurare conseguenze irreparabili.

Ad alimentare il caos ci ha pensato il giallo, innescato dal Giornale d’Italia, sito vicino ad ambienti di governo, che ha prima pubblicato un’“intervista” al ministro della Difesa, Guido Crosetto, poi lo ha trasformato in un semplice articolo di indiscrezioni. I contenuti erano ancora più forti dell’attacco ai magistrati fatto dal ministro sul Corriere della Sera. Venivano citati i magistrati che potrebbero provare a colpire il governo con le inchieste: «Fanno delle riunioni in cui dicono “dobbiamo combattere il governo in ogni modo”. Quando dei giudici col potere che hanno dicono quello. Chi tira le fila? Area e Md. I nomi sono i soliti, Cascini, Musolino... questi qua».

Nell’articolo viene definita l’ipotetica strategia anti Meloni: «Metti che uno vuol fare male alla Meloni, manda l’avviso di garanzia a Fazzolari, Lollobrigida, Mantovano, Crosetto...». Dallo staff di Crosetto, interpellato da Domani, hanno ribadito: «Non c’è stata alcuna intervista. Hanno erroneamente attributo al ministro frasi che mai ha pronunciato».

Scorie fiorentine
Ma al momento il quadro vede Fratelli d’Italia che cerca di tenere a bada la Lega, con lo scopo di fagocitarla ulteriormente, la Lega che si agita per rosicchiare voti all’azionista di maggioranza del governo, resistendo al nord e rialzandosi nel Mezzogiorno, e Forza Italia che rivendica la propria identità, in ottica antileghista, quantomeno per rimarcare la propria esistenza politica. E, come se non bastasse, in mezzo ci si è messo pure Roberto Vannacci, il generale inviso ai meloniani, a cominciare dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, e che invece Matteo Salvini vorrebbe arruolare – politicamente – tra i candidati della Lega alle prossime europee per piazzare un nome di peso. Dimostrando di essere attrattivo verso il nuovo campione della destra politicamente scorretta.

Il fine settimana sull’asse Firenze-Belgrado ha dunque lasciato strascichi nell’alleanza, come da pronostico. In Toscana si è ritrovato il black team, il cantiere nero di Salvini, mentre nella capitale serba c’era la premier, Giorgia Meloni, in visita ufficiale accolta con gli onori istituzionali dal presidente Aleksandar Vučić. Un derby finito male per la Lega: FdI è uscita rafforzata dal tentativo di prova muscolare del segretario leghista. Meloni, al netto delle fibrillazioni nell’alleanza, può ritenersi soddisfatta. La risposta istituzionale a Salvini ha funzionato. Ha mostrato il volto europeista, auspicando l’allargamento dell’Unione ai Balcani. Al contrario, la convention fiorentina del gruppo europeo, Identità e democrazia, ha messo sul palco un drappello considerato poco affidabile e intorno a cui si punta a costruire un cordone sanitario.

Lo scavalcamento a destra resta uno degli obiettivi, più o meno dichiarati, che comunque ha innescato un effetto boomerang. Salvini ha mirato a Fratelli d’Italia, ma ha colpito Forza Italia, che di fatto considera un’estensione di FdI. «Tajani sbaglia alleati», ha detto il leader della Lega, avviando di fatto uno scontro tra junior partner della coalizione. La risposta più pepata è arrivata dal capogruppo del Senato, Maurizio Gasparri: «Se la Lega dovesse decidere di uscire dall’Unione europea ce lo comunicherà e farà le scelte conseguenti, ma non mi risulta». Il vicecapogruppo alla Camera di FI, Raffaele Nevi, è stato giusto più garbato nei modi, il senso del discorso è simile: «L’impressione è che Salvini stia dalla parte sbagliata. Noi siamo nel Ppe, e andiamo avanti per la nostra strada per cambiare e non distruggere l’Europa». Una sorta di dichiarazione di guerra politica tra alleati che continuano a sostenere di andare d’amore e d’accordo.

Tajani meloniano

Dalle parti della Lega hanno capito che la strategia di Tajani è allineata a quella di Meloni. Per questo hanno rotto la tregua, creando peraltro malumori interni ai forzisti. Specie al nord, infatti, i dirigenti di FI hanno filo diretto con i leghisti. Il segretario del partito, fondato da Silvio Berlusconi, ha però ribadito la linea in una recente cena, a base di risotto al tartufo a Roma, nella boutique di Damiani gioielli. Il ministro degli Esteri ha giurato lealtà alla premier, smussando al massimo i nervosismi post caso Giambruno, e ha prefigurato i nuovi assetti del partito per puntellarlo, sempre in ottica meloniana. Come vicesegretario, secondo quanto risulta a Domani, ha indicato la preferenza per il vicepresidente della regione Calabria, Roberto Occhiuto, uno dei commensali alla cena romana in via Condotti, che avrebbe così scalzato un altro presidente di regione, il siciliano Renato Schifani, dato come papabile numero due di Tajani. Tensioni esterne che incrociano scontri interni, rendendo difficile la gestione del cammino fino alle europee.

Il dubbio che nel centrodestra ci sia un gigantesco gioco delle parti, di una spartizione degli elettorati, alimenta i sospetti delle opposizioni. Più fonti parlamentari, sia di Lega che Forza Italia, confermano d’altra parte che non si tratta semplicemente di scontri simulati: in ballo c’è la sopravvivenza politica, per i forzisti, e la possibilità di incidere sul prosieguo della legislatura, modificandolo a proprio favore, nella logica dei salviniani. Quello di giugno è una sorta di voto di midterm per comprendere come sono mutati gli equilibri nei partiti di maggioranza. Ognuno vuole portare a casa il proprio bottino per metterlo sul tavolo nella seconda metà del 2024. Certo, «nessuno vuole mettere in discussione il governo», è la tesi espressa da fonti di maggioranza. Permane, però, la consapevolezza che bisogna piazzare delle bandierine politiche da qui ai prossimi mesi. Con un avviso ai naviganti: le tensioni “pilotate”, che non puntano a distruggere i rapporti politici, rischiano di finire in un piano inclinato difficile da gestire.

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