Il governo italiano inizia a fare i conti con un’ipotesi che pareva impensabile ancora qualche settimana fa: l’interruzione delle forniture di gas russo. Nel Documento di economia e finanza presentato in Consiglio dei ministri, a pagina 48 c’è un apposito box sotto un titolo anodino, Un’analisi di rischio (e di sensibilità) sulle variabili esogene, che nasconde un contenuto politicamente molto rilevante: le prime simulazioni ufficiali su cosa comporterebbe la rottura del rapporto energetico con Vladimir Putin.

La stima del ministero dell’Economia è che l’interruzione delle forniture energetiche russe fondamentali per Mosca per finanziare la guerra in Ucraina comporterebbe un impatto negativo sul Pil compreso tra lo 0,8 e il 2,3 per cento il primo anno, cioè ne 2022, e tra l’1,1 e l’1,9 per cento nel 2023.

 Un colpo notevole all’economia italiana, ma molto inferiore a quello inferto dal Covid e che non considera gli effetti positivi di medio periodo (l’indipendenza da un partner così problematico) e quelli di una possibile stabilizzazione del quadro internazionale.

O meglio, si può dedurre che siano in qualche modo inclusi visto che l’effetto sul Pil dell’interruzione delle forniture di gas russo viene stimato come positivo già dal 2024 (tra +1,1 e +1,9 per cento sull’anno).

I due scenari

Nelle simulazioni del governo il primo scenario, quello con un impatto negativo moderato, prevede che le aziende del settore energetico trovino fonti alternative di gas (ci sono trattative con vari partner, dall’Algeria al Qatar) e che quindi ci sia un impatto sui prezzi moderato, che sarebbero comunque superiori a quelli previsti dal “quadro tendenziale” del Def, cioè quello che include i rincari delle ultime settimane. Nel dettaglio, il gas salirebbe ancora del 37 per cento e del 69 per cento nel 2023, il petrolio del 9 per cento e del 4,5 per cento nel 2023, col risultato di spingere il prezzo dell’elettricità in alto di un altro 30 per cento nel 2022 e del 58 per cento nel 2023. E questo è lo scenario ottimistico.

Nello scenario pessimistico, la diversificazione delle forniture non funziona, cioè non si trovano vere alternative comprabili a quelle della Russia. E quindi a tutti i rincari del primo scenario va aggiunto un ulteriore 10 per cento e anche “una carenza di gas, stimata pari al 18 e al 15 per cento delle importazioni in volume” nel 2022 e 2023.

Effetto valanga

L’escalation della guerra economica non avrebbe conseguenze soltanto sui prezzi del gas. L’embargo alle fonti fossili che arrivano dalla Russia sarebbe uno shock sistemico che finirebbe per condizionare altre variabili macroeconomiche. Ci sarebbero effetti negativi sul Pil dovuti sia al tasso di cambio tra euro e rublo (con un maggiore apprezzamento della valuta europea rispetto allo scenario base che complicherà un po’ le esportazioni) per 0,4 punti di Pil nel 2023 e 0,8 nel 2024.

Lo shock energetico, combinato con quello sul cambio, finirebbe per mettere sotto stress anche il mercato obbligazionario che per un paese ad alto debito come l’Italia è sempre cruciale. Il Tesoro stima un aumento del rendimento dei Btp a dieci anni di 100 punti base (cioè l’1 per cento), cosa che finirebbe per penalizzare il Pil per 0,1 punti percentuali nel 2023 e 0,4 nel 2024.

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