«Chiunque vinca non potrà fare peggio di quelli di prima. Se vince Damilano vuol dire il 20 per cento dei torinesi di sinistra avrà votato a destra. Dunque sarà chiaro che a Torino la destra non basta a vincere». Alberto Nigra ammassa troppe risposte a una domanda che da giorni gli fanno tutti, e con toni sempre meno amichevoli: e se la sua lista “di sinistra” fosse determinante per consegnare, per la prima volta dal dopoguerra, le chiavi di Torino alla destra, dopo la parentesi grillina? In realtà con la civica in questione, Progresso Torino, i sondaggi non sono generosi. Ma nel testa a testa fra i due candidati, Stefano Lo Russo per il centrosinistra e Paolo Damilano per il centrodestra, una manciata di voti fa la differenza.

Ex comunista

Nigra ha 57 anni e oggi di mestiere fa il consulente finanziario. Ma fino a ieri era un politico di professione: si è iscritto al Pci nel 1980, «sezione “Danzica 80” nata nel periodo degli scioperi in Polonia che portarono alla nascita di Solidarność, il primo sindacato libero in un paese del blocco», racconta. Da lì compie tutto il cursus honorum Pci-Pds-Ds. È segretario cittadino dei Ds dopo Sergio Chiamparino. Nel 2001 diventa parlamentare. Ma nel 2007 non aderisce al Pd. Con Gavino Angius e il giornalista Peppino Caldarola tenta la via di un partito socialista; poi di una costituente. Non funziona. Anni dopo aderisce a +Europa, ma presto si disamora per quello che definisce «l’avvicinamento mortale con il Pd». Il partitone gli piace solo nella versione renziana. La politica però è un tormento, così Nigra passa ad Azione, l’associazione-partitino di Carlo Calenda, con il quale condivide la fantasia per un terzo polo liberale e centrista. Che guarda a sinistra, ma solo in teoria.

Perché a Roma Calenda si candida e rischia di azzoppare il cavallo della sinistra Roberto Gualtieri, con i ringraziamenti del “centurione” delle destre Enrico Michetti . A Torino invece Azione si spacca in due. Una parte finisce con Lo Russo. L’altra approda a destra, senza complessi, scommettendo sull’imprenditore Damilano. Nigra dunque è il regista di quella che gli avversari chiamano «lista civetta» per sfilare voti alla sinistra. Non è candidato e non vuole fare l’assessore. Ma Damilano, in caso di vittoria, sa di avere dalla sua un tecnico molto politico. Con Nigra c’è Davide Ricca, responsabile cittadino di Italia viva. La capolista è la “madamina Sì Tav” Giovanna Giordano. Ma viene imbarcata anche una No Tav, l’ex grillina Carlotta Trevisan. E i radicali dell’associazione Marco Pannella (contrari invece quelli della Adelaide Aglietta). Nigra si difende: «Intanto non ci siamo buttati a destra. Damilano è un liberaldemocratico, competente e innovativo. Dall’altra parte invece ci sono il Pd e i Cinque stelle, che sono oggettivamente alleati anche se fanno finta di no. Lo Russo rappresenta la somma dei loro fallimenti: quello della sindaca Appendino, quelli dei predecessori Chiamparino e Fassino. Torino è una città che muore. Dalle Olimpiadi non si azzecca una scelta di prospettiva».

Critiche da sinistra

Il manifesto di Progresso Torino gronda di citazioni di Carlo Rosselli e Luigi Einaudi ma se Damilano dovesse vincere i suoi alleati si ispireranno alle rocciose convinzioni di Orbán o di Trump, i modelli politici di Salvini e Meloni. Da sinistra arrivano bordate. «Sono degli imbroglioni», scrive sui social Giorgio Ardito, ultimo segretario del Pci di Torino, «si autodefiniscono progressisti e liberalsocialisti: un falso in atto pubblico, un tentativo di imbrogliare le carte, e qualcuno ci casca. Per questo li disprezzo senza margini: sono con CasaPound, con i sovranisti, con Orbán e la Le Pen, semmai, quindi, “nazionalsocialisti”. Non vi ricorda nulla?». Nigra non si scompone: «Potrei rispondere che di là ci sono gli amici di Chávez. Ma siamo seri: è evidente che ci sono delle differenza fra noi e Lega e FdI, ma il sindaco sarà Damilano, un moderato che sarà un protagonista di una nuova area alternativa agli schieramenti in campo». Per Marco Grimaldi, consigliere regionale e capogruppo della Sinistra ecologista non è una sorpresa: «Litigo con alcune persone sedicenti progressiste da quando ero il segretario della Sinistra giovanile. Ai tempi non vedevano l’ora di bombardare l’Afghanistan e pure l’Iraq, chiamavano la precarietà “flessibilità”, avrebbero riempito di inceneritori il Piemonte, amavano i Cpt, poi Cie, poi Cpr, e la Tav anche prima che cambiasse tracciato. Quando erano dirigenti di sinistra praticavano l’eutanasia del conflitto e delle lotte della sinistra. Ora che finalmente si schierano con la destra ammettono che volevano semplicemente far vincere le ragioni del liberismo». Invita a ridimensionare il fenomeno invece un professionista del centro come Giacomo Portas, titolare del longevo marchio “Moderati”, schierato con Lo Russo: «Intanto a Torino come a Roma c’è il 40 per cento di indecisi, quindi le elezioni sono apertissime. Poi mi creda: stimo Nigra, ma un simbolo inventato all’ultimo momento non funziona. A noi è andata sempre bene perché abbiamo candidati radicati e il nostro simbolo esiste dal 2005. Oggi la differenza la farà l’elettorato dei Cinque stelle: bisogna vedere dove si sposta».

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