Elly Schlein guarda le immagini in bianco e nero del Pci. Al suo fianco si materializza Massimo D’Alema, con una battuta: «Sono uscito da quella foto». Risata, stretta di mano. Ivana Della Portella, vicepresidente di PalaExpo, tira la segretaria verso una gigantografia, la ferma sotto una calotta di vetro, è una campana sonora, miracolo, da lì lei e solo lei può ascoltare un comizio di Berlinguer.

Ci sono i quadri di Vespignani, le lettere del segretario, la sua scrivania, commoventemente piccola. Il tavolo intorno a cui si riuniva la segreteria. La monumentale mostra “I luoghi e le parole di Enrico Berlinguer” nei padiglioni dell’ex Mattatoio di Roma – i curatori sono Alessandro d’Onofrio, Alexander Höbel, Gregorio Sorgonà – è una storia dell’Italia democratica e repubblicana, della passione politica, delle riforme, della lotta al terrorismo e all’eversione.

Contro Atreju

È il vero controcanto alla melonianissima festa di Atreju. A ciascuna il suo: la premier ha inaugurato la mostra su Tolkien, Schlein quella su Berlinguer, scopri le differenze. Venerdì alle 11 la segretaria Pd era attesa ai Tiburtina Studios dove stava per parlare il commissario europeo Paolo Gentiloni, sabato ci saranno Enrico Letta e Romano Prodi.

Il Nazareno ha organizzato una kermesse agli antipodi dell’antieuropeismo di FdI. Ma gli Studios hanno dovuto aspettarla un’ora. La segretaria non poteva e non voleva mancare la masterclass di carisma che impartiscono queste foto, questi oggetti.

È stata accolta da Ugo Sposetti, presidente e anima dell’associazione Berlinguer: «Questa è una lezione di politica, e di storia, e la storia va studiata. Schlein? Non avevo dubbi che venisse». C’erano Bianca Berlinguer e tutta la famiglia, che a Sposetti ha affidato carte e ricordi cari: «Grazie perché l’affetto intorno a noi non è mai mancato».

Quel «Berlinguer ti voglio bene» non era solo una battuta di Benigni, era un romanzo corale. Lo dice il sindaco di Roma Roberto Gualtieri: «È stato il leader più amato dal popolo, non solo della sinistra. Con Moro è stato il protagonista della vittoria della democrazia, e dopo trenta anni di analisi della sconfitta, sarebbe il caso di ricordare che quella stagione ha cambiato in meglio l’Italia».

C’è un enorme pannello che ricorda «quella stagione», dal 1969 al 1982, il Pci è stato la spinta di quelle riforme anche se stava all’opposizione. Maria Berlinguer, altra figlia dei quattro, prende Schlein sotto braccio e la porta proprio là davanti.

Comincia a leggere: «Legge 300/70, lo statuto dei lavoratori, a cui i comunisti lavorarono ma alla fine non lo votarono, era giudicato troppo poco avanzato; 1044/71, piano quinquennale per gli asili nido; 405/75 consultori familiari; 903/77 parità salariale uomini-donne; 194/78, interruzione di gravidanza; 883/78 istituzione del servizio sanitario nazionale». Schlein non riesce a staccarsi da lì: «È impressionante vedere queste leggi tutte insieme».

Non è male anche vederli tutti insieme, gli ex Pci, «e non a un funerale», scherza Piero Latino, uno delle ultime generazioni. Piero Fassino, Gianni Cuperlo, Nicola Zingaretti, Antonio Bassolino, Antonio Rubbi, “mitico” responsabile esteri.

“Giovani” come Andrea Orlando e Nico Stumpo. Gli ex del servizio d’ordine di Botteghe oscure, quelli «del bancone della vigilanza». Letizia Paolozzi e Franca Chiaromonte, Paola Scarnati e Vincenzo Vita (dirigono l’Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico). Luciana Castellina, Marisa Malagodi Togliatti, Vincenza D’Amelio, moglie di Emanuele Macaluso.

Il padrone di casa dell’ex Mattatoio è il presidente di PalaExpo Marco Delogu, a sua volta è nipote di Ignazio, collaboratore di Berlinguer, intellettuale e ufficiale di collegamento con il Cile, il Cile dei tre saggi su Rinascita che teorizzano il compromesso storico. C’è anche il Cile: l’ambasciatore Ennio Vivaldi, nipote di italiani, allendista, accompagnato da Patrizia Majorga, giornalista ma da giovanissima «asilada» nella nostra ambasciata a Santiago.

Parla Walter Veltroni: «Berlinguer spronava i militanti a non avere paura del nuovo. Portò a votare per il Pci anche persone che non avevano quella formazione ideologica». Li fece anche dirigenti: lui nel 1995 rivelò di «non essere mai stato comunista».

Dal buio una voce: «Vorrei sapere chi è quel fijo de na mignotta che ha chiamato Avanti popolo quel programma della Rai». Contraddizioni in seno al popolo, stavolta quello democratico. Gualtieri si infervora: «Senza Berlinguer non sarebbe stato possibile il Pd» né la ricollocazione europea da «riformisti».

Schlein resta ancora prima di andare a parlare di Unione con i suoi, le europee sono la sua prova del nove. Fa bene a restare: Giuseppe Conte si vuole intestare la «questione morale», praticamente uno scippo. Ha avuto il garbo di non presentarsi al Mattatoio, ma fra i dem è scattato l’allarme rosso: circolano le intenzioni di voto dell’Osservatorio politico, FdI sfiora il 30 per cento, il Pd è al 18,9 e l’M5S gli morde le chiappe al 17,6.

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