Giampiero Falasca ha rinunciato oggi al suo incarico di responsabile nazionale diritto del lavoro e ha lasciato Azione a causa dell’accordo di Carlo Calenda con Enrico Letta. «Mi sono iscritto ad Azione per contribuire a costruire un argine contro il populismo» scrive nella sua lettera di addio. 

Falasca, perché da oggi Azione non può più essere un argine contro il populismo?
Azione come partito mantiene saldi i principi non populisti, il problema è che questa coerenza è messa a rischio da vicini scomodi. Comprendo la difficoltà della scelta di Calenda, non mi sarei voluto trovare al suo posto. Ma il punto è che Azione è forte nella sua diversità. La sua diversità è anche rischiare di andare a sbattere com’è successo a Roma. C’è un emblema del populismo di questi anni che è Luigi Di Maio. 

Poi si è un po’ redento, però c’era lui su quel balcone per esultare per l’abolizione della povertà. Ritrovarsi in una coalizione dove c’è lui indebolisce quel messaggio bello che invece Azione pensava di portare. 

E così ha lasciato. 
Il mio non voleva essere un messaggio conflittuale. Ora sta spopolando sui social, non dico che mi dispiace, ma quasi. Io volevo soltanto dire che non fa per me. In questi giorni sono stato invaso di chiamate di persone che mi dicevano «finalmente stavolta voteremo Azione». 

Quali sono secondo lei le ragioni del cambio di opinione su Di Maio da parte di Calenda? 
Lui dice: «Io non voto per Di Maio, non lo voglio nell’uninominale». È un compromesso, è un po’ vero e un po’ no. È vero che non diventa un alleato strutturale di Di Maio, però se lo ritrova sulla scheda in una coalizione. Tutto dipende da cosa prevale. Calenda l’ha detto pubblicamente: per lui è importante fermare la destra. Io, onestamente, questi discorsi di fermare l’uomo nero non riesco a capirli. Sì, fermiamoli, ma non a qualsiasi costo. 

Ma Azione ha ottenuto il 30 per cento dei collegi e una sovrapposizione quasi totale del programma con quello di coalizione, non è un buon accordo?
L’accordo è molto buono su collegi e programmi. C’è il piccolo problema che c’è questo rischio di confusione con storie politiche del tutto incompatibili. La gente non voterà l’accordo, la gente voterà la coerenza di una proposta politica. Io vedo che questa coerenza è messa a rischio. 

Sulla pagina Facebook di Azione nei momenti successivi all’annuncio dell’accordo fioccavano commenti negativi, tanta delusione e persone che criticavano Calenda. Azione rischia di alienare la sua base?
Questo lo diranno le urne, però sicuramente c’è tutto un mondo produttivo che sarà allontanato da Azione per questa cosa. Mi auguro di no ma il rischio lo vedo. 

E gli elettori di centrodestra che Azione avrebbe potenzialmente potuto attrarre?
È un peccato perché Azione era lanciatissima. Quest’accordo frena quella grande voglia di Azione che c’era. Alcuni settori dell’elettorato, quelli magari delusi dalla Lega, da Forza Italia che hanno fatto cadere Draghi, adesso rimangono un po’ spiazzati. 

Magari contavano sulla formazione di un terzo polo.
Penso di sì, credo che avrebbe ricevuto una grande considerazione dal paese. Si sarebbe fatta una scommessa politica, si sarebbe creato un soggetto politico forte. Magari con una rappresentanza parlamentare più debole, però si sarebbe aperta una strada politica. Un po’ com’è successo a Roma, dove Calenda ha avuto un successo clamoroso.

Purtroppo per avere quel tipo di consenso bisogna prendere tanti rischi. Il segretario non se l’è sentita, io lo comprendo ma non lo condivido. Non è per me, mi faccio da parte: dico quello che ho detto anche internamente, che tante persone la pensano come me. 

Tutte le persone “orfane” di Azione, lei compreso, adesso si rivolgeranno altrove? Italia viva corre da sola. 
Non ci ho ancora pensato sinceramente. Sono ancora talmente preso dalla delusione che proprio non ci ho riflettuto. Ci penso da domani. Per me era pura passione, fino a ieri stavamo lavorando sul programma, si figuri. 

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