Norbert Frei, professore di storia moderna e contemporanea all’università Friedrich Schiller di Jena, è uno dei massimi esperti di Auseinandersetzung mit der Vergangenheit in Germania. Il nome tradotto suona pressapoco come “confronto con il passato” e descrive il processo con cui storici e popolazione comune negli anni hanno lavorato sulla concezione del regime nazionalsocialista in Germania. 

Cominciamo dal nuovo presidente del Senato, Ignazio La Russa. In un’intervista ha detto che i due partiti post fascisti di cui è stato membro, il Msi e An, hanno fatto i conti con il loro passato, tra le altre cose con il motto “Non rinnegare, non restaurare”. Si può considerare una rielaborazione?
Non rinnegare e non restaurare secondo me è il minimo indispensabile e dovrebbe essere scontato, ma non è considerabile un confronto con il passato ai miei occhi. Non rinnegare e non restaurare è quel che in Germania potrebbe dire allo stesso modo la AfD, che d’altra parte ha chiesto «un’inversione di rotta di 180 gradi nella gestione del nostro passato». È questa la famosa frase di Björn Höcke che mostra di cosa stiamo parlando davvero, cioè di qualcosa di molto più profondo di quello che ha menzionato il presidente del Senato italiano, ed è ciò a cui i populisti di destra tedeschi sono contrari.

Parliamo anche del nuovo sottosegretario Galeazzo Bignami, che è stato ritratto in una foto del suo addio al celibato travestito da gerarca nazista. Oggi Bignami parla di goliardia. 
Anche questi episodi non mi sono nuovi. Nella breve storia della AfD questi cosiddetti peccati di gioventù sono stati episodi ricorrenti. Non è solo questione di prendere le distanze dai propri peccati di gioventù, ma di argomentare in maniera credibile il motivo per cui oggi li si ritiene così sbagliati.

Sono atteggiamenti che si possono considerare accettabili per un partito che afferma di aver fatto i conti con il fascismo?
La presa di distanza formale dei membri secondo me non è sufficiente. Il partito deve rendere chiaro e credibile anche nel merito che non ha più niente a che vedere con il proprio passato. 

Come si distingue la rielaborazione del passato tedesca da quella italiana? Dal punto di vista tedesco, quella italiana è considerabile una rielaborazione?
La questione è che, nonostante entrambe fossero potenze dell’Asse che hanno perso la guerra, la situazione si è sviluppata ben presto in maniera differente. In Germania gli alleati occidentali hanno spinto molto perché ci fosse un confronto con il passato e hanno prestato grande attenzione a questa questione.

Tutta l’occupazione e la costruzione di una democrazia nei primi decenni successivi alla guerra sono avvenute, a mio parere, in maniera molto più controllata e incoraggiata dagli alleati rispetto a quanto sia successo in Italia.

C’è anche un’altra importante differenza che sta nel fatto che in Germania in fondo non c’è stata, a parte qualche rarissima eccezione come il movimento di resistenza del 20 luglio 1944, alcuna forma interna di opposizione al nazionalsocialismo, diversamente dalla Resistenza nei confronti del fascismo. Di conseguenza anche le condizioni di partenza sono state differenti. 

Come si è tradotto nei fatti questo atteggiamento?
In Germania gli alleati non hanno consentito che si formasse un partito neonazionalsocialista. Quando si è formata la Sozialistische Reichspartei (un partito che si ispirava alla Nsdap di Adolf Hitler, fondato nel 1949, ndr), è stata vietata su istanza del governo federale dalla Corte costituzionale nel 1952 (è l’unico caso in cui un partito sia stato vietato nella storia repubblicana, ndr).

È una situazione del tutto diversa della rapida rifondazione dei neofascisti in Italia. E chiaramente spiega anche lo sviluppo differente della gestione del passato nazista. In Germania è stato un processo decennale, che ha avuto anche battute d’arresto e che non ha portato per così dire dal buio alla luce in maniera costante.

Ma è stato un processo che alla fine ha coinvolto larghe parti della società e ha portato a un cambiamento dell’impostazione generale. Per questo motivo nessun partito che miri al successo in Germania si metterebbe mai esplicitamente in relazione con il nazionalsocialismo. 

In Germania persone come La Russa, Bignami o Meloni stessa potrebbero ricoprire cariche di quel livello?
È una domanda che si proietta anche sull’evoluzione della AfD in Germania. Finora non è mai successo, cosa che non significa che nella storia repubblicana tedesca non abbiano fatto carriera anche noti seguaci e rappresentanti del nazionalsocialismo.

Però non appellandosi al nazionalsocialismo, ma al contrario, rinnegandolo, rimuovendolo o grazie al fatto che la loro carriera sotto il regime sia venuta fuori solo successivamente. E in molti casi queste persone hanno dovuto affrontare scandali, ritirarsi a vita privata o dimettersi, soprattutto dagli anni Sessanta in avanti. 

In parlamento Meloni ha detto di non avere simpatia per i regimi, fascismo incluso. È credibile?
Da storico che segue la vicenda da fuori non posso dirlo, ma considerato il contesto che conosco da lettore dei giornali, devo mettere un punto interrogativo alla fine della frase. E il fatto che Meloni abbia frequentato quel tipo di ambienti da così tanto tempo e da quando era anche piuttosto giovane rende questo punto interrogativo ancora più grande. Dovrà però chiaramente essere giudicata sui fatti. 

Quella di Meloni è una frase che basta per legittimarsi come una “normale” conservatrice?
No, alla fine secondo me non basta. Proprio per questo ho appena rimandato alle sue azioni. Sarà decisivo vedere che politiche porterà avanti e come queste politiche eventualmente possano prendere spunti ideologici o concreti dal patrimonio ideologico fascista. Ma prima le sue azioni dovranno dimostrare effettivamente questi riferimenti. 

C’è timore in Germania per il ritorno in auge del patrimonio ideologico fascista da quando Meloni è al potere, anche in riferimento ai suoi primi provvedimenti, come quello che limita i rave party?
Diciamo che in questo momento la situazione mondiale è così complicata e i problemi si presentano a così tanti livelli che dal mio punto di vista – purtroppo, voglio aggiungere – quel che sta accadendo in uno dei paesi fondatori dell’Unione europea riceve troppa poco attenzione qui da noi.

Penso che se la stessa cosa fosse successa dieci o vent’anni fa l’attenzione e l’indignazione in Germania sarebbero state maggiori e probabilmente anche le pressioni politiche di Berlino. Ma in questo momento ci sono così tante crisi che purtroppo l’attenzione per questo cambiamento politico così enorme in Italia è limitata. 

© Riproduzione riservata