Vittoria Fernandi, 37 anni, perugina, non credente «ma non atea, vivo religiosamente e ho una dimensione spirituale», single, «mi sposo la mia città», psicologa, filosofa, «ma non ho mai abbandonato la pratica e l’intelligenza delle mani».

Sergio Mattarella l’ha nominata cavaliera «dell’ordine al merito della Repubblica italiana» perché è la direttrice di un ristorante – e centro polifunzionale e di riabilitazione – in cui il 70 per cento del personale è fatto da ragazzi e ragazze dei centri di salute mentale. Il posto si chiama “Numero Zero”, il civico della canzoncina dello Zecchino d’oro che parla della casa in “via dei Matti”.

Le ironie si sprecano ora che Fernandi è la candidata sindaca del centrosinistra a Perugia alle elezioni del prossimo 9 giugno: glielo hanno chiesto Pd, M5s, Avs, Demos, civici vari. Numero Zero non è un’impresa benefica come tante meritevoli: nasce dentro la Fondazione La città del sole, un’avanguardia della salute mentale, creata dalla scrittrice Clara Sereni e da suo marito, lo sceneggiatore Stefano Rulli.

Spiega Fernandi: «A loro devo tutto, rappresentano la bellezza di saper trasformare un dolore come quello di gestire un figlio con problematiche, in una battaglia per migliorare le condizioni di vita di tutti». Fra gli amici della Fondazione c’è Brunello Cucinelli, lo stilista mecenate filantropo ed esteta del «capitalismo umanistico». Tutto bellissimo. Ma adesso dobbiamo parlare di politica.

Innanzitutto: perché alla fine il centrosinistra ha scelto lei?

Credo perché ho sempre vissuto in modo forte la città, qualsiasi ruolo abbia ricoperto.

A sinistra non ha ricevuto solo applausi però.

La politica con me ha fatto una scelta di coraggio. Ogni partito ha fatto un passo indietro per una candidatura che cerca di ricucire lo strappo con la città. Ogni cambiamento incontra entusiasmi e passione, ma anche resistenze, paure, vertigini. Ho assistito con rispetto e da lontano ai passaggi interni. Per me la diversità è forza: lavoro a che questa Armata Brancaleone si allarghi di più.

Perché la sinistra ha perso a Perugia e l’Umbria?

C’è stato uno scollamento della rappresentanza. Errori fatti anche a livello della prossimità con i cittadini. Ma c’è una nuova leva che vuole costruire il futuro della città, ridando alla partecipazione il suo posto centrale.

Cosa contesta all’amministrazione uscente, di destra?

Ho lavorato nel commercio, nella ristorazione, nel sociale, e come clinica che ascolta le sofferenze individuali. Perugia è una città depressa, chiusa in sé stessa. Non voglio demonizzare nessuno ma quest’amministrazione ha tenuto lo sguardo basso. Il loro cavallo di battaglia è stato il risanamento del bilancio. Ma la maggiore voce di spesa sono le luci dei lampioni della città. Che sono necessarie, certo, ma ordinaria amministrazione.

Bisogna tornare a illuminare le persone, la vita. Questa città deve tornare ad avere il rango di capoluogo di una regione che può diventare il cuore verde d’Italia. Perugia ha una grande vocazione all’apertura, è la città dell’università degli stranieri. Ma questa vocazione si è persa.

Da Perugia i giovani e gli studenti se ne vanno: e non solo per mancanza di opportunità lavorative, ma anche perché non si innamorano più di questa città. Per la mia generazione questa era una città di cui ci si innamorava. Oggi à una città immobile. So che l’immobilismo per chi è un conservatore è un valore.

A lei invece viene imputato un certo radicalismo.

I media provano a schiacciare la mia figura sull’estrema sinistra. Capisco che di polarizzazione c’è bisogno su una dimensione nazionale. Su Perugia no.

Anche perché la sua città ha un cuore moderato, e la sua sfidante, Margherita Scoccia, è di destra-destra ma piace ai moderati.

La cultura politica dalla quale vengo, e che non rinnego, è di sinistra. Ma non significa essere estremista. Rivendico una certa radicalità rispetto a valori progressisti. Abbiamo un papa che parla della cultura dello scarto: quello che ho fatto nella vita fin qui e quello che voglio fare sta qui: la difesa degli ultimi, costruire uno sguardo che tenga insieme i sogni e le fragilità.

Mi hanno descritto come Rosa Luxemburg, mi lusinga ma sono fuori strada. Come dice Umberto Eco, esiste una dimensione eterna del fascismo, e allora esiste anche una dimensione eterna della sinistra, nessuno si spaventi, è un elemento di fiducia per una città aperta e solidale. La mia sfidante viene dal Fuan, non so quanti moderati si riconoscano in quei valori.

Conte e Schlein: li chiama in città o meglio che stiano a distanza?

I partiti costruiranno le loro campagne elettorali. In questo momento siamo tutti concentrati in una prima fase di ascolto della città. Quando poi in piena campagna arriveranno i leader, se potrò, se non avrò altre iniziative, parteciperò volentieri.

Quanto la infastidisce la coincidenza con le europee?

Mi preoccupa perché sono due narrazioni diverse che si sovrappongono. Ma resterò con i piedi piantati nei problemi della città. E più la città entra insieme a me in questa partita, più riusciremo a fare argine.

A Perugia c’è uno scontro fra due donne, come a Roma?

Intanto siamo due candidate molto diverse: lei è il risultato di uno schema di partito molto chiaro, io invece di una coalizione plurale, che si costruisce giorno per giorno.

Nel centrosinistra umbro c’è stato un cambio di passo generazionale e di genere. Io incarno entrambe le fatiche. Alla mia avversaria dico: almeno una cosa abbiamo in comune, io non permetterò mai che il nostro essere donne finisca per essere inserito in narrazioni svilenti e sessiste. Io le guardo le spalle da subito, e spero che lo faccia anche lei a me.

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