Dopo il tour de force notturno in commissione, la legge di Bilancio sbarcherà al Senato il 20 dicembre alle 17, con votazione prevista due giorni dopo su cui il governo metterà la fiducia. Poi passerà alla Camera per concludere il suo passaggio parlamentare nella settimana tra Natale e capodanno, inchiodando i parlamentari ai banchi del parlamento fino al 29 dicembre – data prevista per il via libera definitivo per non rischiare l’esercizio provvisorio – ma senza sostanziale possibilità di modificare più nulla del testo, che già era arrivato blindato.

Pochissimi, infatti, sono gli emendamenti presentati con il placet del governo, proprio come aveva chiesto il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, spalleggiato in questo dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Tanto che, per chiudere il 2023 e rivendicare quanto ottenuto, la premier non aspetterà l’approvazione ma ha convocato la conferenza stampa di fine anno per giovedì 21 dicembre.

Tra le limitate aggiunte del parlamento, ci sono l’emendamento da 40 milioni di euro per misure contro la violenza sulle donne, sostenuto da tutti gruppi di opposizione ma votato anche dalla maggioranza. Il via libera è arrivato anche alle modifiche in materia pensionistica per le pensioni di vecchiaia di medici, maestri d’asilo e dipendenti degli enti locali. Nell’ambito medico, le pensioni anticipate rimangono penalizzate, ma il taglio è stato rimodulato e contenuto. Inoltre, i dirigenti medici e gli infermieri potranno rimanere al lavoro fino ai 70 anni, se lo vorranno. C’è poi un “pacchetto casa” con interventi sul disagio abitativo e un chiarimento sulla cedolare secca per gli affitti brevi.

Sono previste anche risorse aggiuntive per circa 100 milioni di euro per gli stipendi delle forze dell’ordine e forze armate, ma anche la rimodulazione delle risorse per il ponte sullo Stretto. Una parte, infatti, sarà a carico delle regioni Calabria e Sicilia attraverso i fondi di coesione e gli stanziamenti per gli enti locali. La decisione ha provocato malesseri nel centrodestra, con il governatore siciliano Renato Schifani, in quota Forza Italia, che non aveva apprezzato la scelta di sottrarre risorse alla regione per l’opera. «L’auspicio è che il ministro Salvini si possa attivare per restituire le maggiori risorse sottratte alla Sicilia», aveva scritto solo qualche giorno fa. La decisione del governo, tuttavia, non è mutata.

Il nodo Superbonus

Alla fine, la scuola Giorgetti ha avuto la meglio anche sul Superbonus: nessuna proroga, nonostante Forza Italia avesse chiesto un emendamento per consentire fruire dell’agevolazione per i condomini in stato avanzato di lavori. Eventuali correttivi potrebbero finire nel decreto milleproroghe o in un provvedimento ad hoc, ma per ora il braccio di ferro per sospendere l’odiato bonus è stato vinto dal ministero.

La questione, però, è tutt’altro che chiusa. Il capogruppo di Forza Italia, Paolo Barelli, ha infatti ribadito che «continueremo a chiedere che sia prevista una proroga affinché aziende e cittadini corretti possano completare i lavori iniziati», puntando al milleproroghe che andrà in consiglio dei ministri a fine anno. Nessuna venatura eccessivamente polemica da FI, che ribadisce come «Il ministro Giorgetti fa il suo lavoro, e lo capiamo», ma «il problema esiste» e gli azzurri intendono farsene portavoce anche con l’obiettivo di capitalizzarlo in vista delle Europee. «Profonda delusione», infatti è stata manifestata dalla Confederazione nazionale artigiani, che «stigmatizza l’indisponibilità dell’esecutivo e del parlamento a definire una exit strategy ordinata». Parole pesanti, soprattutto visto che provengono da un elettorato di riferimento del centrodestra. Secondo le stime circa 25mila cantieri non potranno completare gli interventi, con effetti su imprese e famiglie ma anche con il rischio di contenziosi legali. La battaglia interna alla maggioranza, dunque, rimane ancora aperta seppur sottotraccia.

Quelli approvati in commissione, tuttavia, sono solo leggeri ritocchi rispetto a un impianto generale della manovra, che nel complesso vale circa 24 miliardi di euro, di cui 16 miliardi a debito. A pesare sul governo è stata infatti, oltre alla difficile congiuntura economica, anche la delicata fase di passaggio in Europa, con la rinegoziazione del patto di Stabilità, che ha imposto di scegliere una Finanziaria “light”. La misura principale è il taglio del cuneo fiscale da 10 miliardi di euro, che impatterà sulle buste paga dei dipendenti che guadagnano meno di 35mila euro l’anno. Sono previsti poi una serie di bonus per le famiglie, privilegiando quelle con figli e agevolazioni per le lavoratrici madri.

© Riproduzione riservata