Mercoledì il sindaco e il presidente sono volati insieme a Parigi per la presentazione del prossimo Tour de France, che per la prima volta partirà dall’Italia, e cioè da Firenze, in onore del grande Gino Bartali. Dopo Firenze, la Grande Boucle farà tre tappe in Emilia-Romagna, e poi via in fuga verso la Francia via Torino. Gran soddisfazione per Dario Nardella e Stefano Bonaccini. Sarà un eventone, milioni di appassionati scollineranno di là e di qua dall’Appennino, la brochure recita un miliardo di contatti in 190 paesi, diretta su 100 canali tv. Gioia infinita in particolare per il sindaco: se non fosse per quel filino di amarezza che Borges chiama «nostalgia del presente». Perché non toccherà a lui il palco d’onore del Gran Départ, il 29 giugno a piazzale Michelangelo. Quel giorno Nardella si sarà appena trasferito a Bruxelles: e a chi lascerà in dote questo regalone?

Attenti a Jep Gambardella

I due, il sindaco e il presidente, si rivedono oggi a Firenze. Bonaccini ha convocato nella città dell’amico Dario la nuova tappa del giro d’Italia della corrente Energia popolare. Non è una tappa strategica: in questa fase la minoranza Pd sta tranquilla e aspetta le europee, vigilando che la segretaria tenga la linea sul Medio Oriente. Nardella porterà un saluto istituzionale, ma neanche troppo, è in famiglia: anche se qualcuno lo accusa di intelligenza con Elly Schlein in vista della corsa per Bruxelles. Corsa che non è ufficiale ma è certa. E godrà tanto dell’appoggio del suo capocorrente attuale Bonaccini, quanto del suo l’ex capocorrente Dario Franceschini.

Prima di uscire da palazzo della Signoria però, deve lasciare la casa in ordine, cioè deve accompagnare l’avvio delle macchine per il successore. O la successora. Le performance di Nardella non sono facili da uguagliare: è stato eletto al primo turno sia nel 2014, in piena èra renziana, sia nel 2019, segretario Zingaretti. E la sua successione è dossier da trattare con cura, non solo per la città: è vero che l’ipotesi di una sconfitta a oggi è lunare, la destra alle politiche qui ha preso il 25 per cento; ma se mai per qualche astruseria il Pd dovesse perdere Firenze, non sarebbe solo il crollo dell’ultima roccaforte rossa toscana, ma l’esplosione dell’ombelico morale del Pd, la fine di quel partito per come l’abbiamo conosciuto.

C’è tempo, le elezioni saranno il 4 giugno, con le europee. La destra ha ingranato la marcia bassa: aspetta la mossa degli avversari. Da tempo s’offre il direttore degli Uffizi Eike Schmidt, ma Giovanni Donzelli, proconsole meloniano, fischietta: il candidato “tedesco” è un nome più palatabile di quelli locali, ma appunto è tedesco, e la premier è nazionalista, insomma non c’è fretta di infilarsi in complicate spiegazioni ai rari fiorentini postfascisti che aspettano da decenni il loro turno.

A sinistra invece la scena è affollata. E in città sono partiti già i minuetti scortesi. Un passo avanti e due indietro li ha già fatti Eugenio Giani, presidente della regione. Fare il sindaco è il suo sogno, giura di avere l’appoggio di Matteo Renzi. Che non è un fatto banale: qui l’ex premier vanta il 15 per cento: ma è la percentuale del terzo polo alle politiche. Stime più recenti lo danno a un terzo. Ma se Renzi si sopravvaluta, è meglio non sottovalutarlo. È il tipo che, se non gli riuscisse di fare la partita, farebbe come Jep Gambardella: fa fallire la festa. Ci prova già il suo amico Marco Carrai, che ha imposto un uomo di destra alla presidenza della fondazione Cassa di risparmio, il forzista Bernabò Bocca, contro il candidato gradito a Nardella. L’ipotesi Giani, anche al netto degli sbadigli dell’ala sinistra, ha fatto infuriare i sindaci toscani: abbandonare la regione un anno prima della scadenza? Non scherziamo. Pisa, Grosseto, Siena e Pistoia sono a destra. E a Pistoia è già partita la rincorsa del golden boy di FdI Alessandro Tomasi: vorresti servigliela su un piatto d’argento?

Schlein senza una donna

Vantano l’appoggio di Renzi (le cui intenzioni per ora restano ignote, tranne che un principio: fare un dispetto all’ex amico Nardella) Stefania Saccardi, consigliera regionale di Italia viva e l’ex assessora Cecilia Del Re, del Pd ma cacciata da Nardella. Se il sindaco di Firenze deve avere uno standing nazionale, allora si fa il nome di Simona Bonafé, donna di polso, già renziana, oggi coordinatrice alla Camera della corrente bonacciniana.

Ma se dev’essere una signora – e in città si dice che deve essere una signora – allora la vera candidata è Sara Funaro: assessora al Welfare, nipote del sindaco Bargellini, stimata, è il nome numero uno per Nardella. Lei resta composta, in attesa che arrivi il tempo giusto. Piacerebbe a Elly Schlein, che qui ha vinto le primarie sconfiggendo proprio il sindaco? Il fatto è che i papabili vicini alla segretaria sono due, ma sono due uomini: l’emergente assessore all’Ambiente, Andrea Giorgio, e Federico Gianassi, deputato ed ex assessore.

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