Un taglio da 15,9 miliardi che però non è un taglio, perchè è un «definanziamento dal Pnrr e il rifinanziamento attraverso altre fonti, come il Piano nazionale complementare al Pnrr e i fondi delle politiche di coesione».

Con questo giro di parole il ministro Raffaele Fitto è uscito dall’incontro di cabina di regia sul Pnrr di ieri: il governo punta a riscrivere il Pnrr con una proposta di revisione di 144 misure, che ora dovrà essere discussa e accettata a livello europeo, ma che è destinata a sollevare tensioni politiche in Italia.

«Non abbiamo eliminato nulla, solo riorganizzato», è la linea di Fitto, che martedì 1 agosto sarà in parlamento per iniziare un «dibattito costruttivo» sulle modifiche. Il passaggio sembra però più che altro formale: le proposte di modifica sembrano ormai definitive e pronte ad essere inviate a Bruxelles, che le aspetta insieme al nuovo capitolo del RepowerEu «entro la fine di agosto», come ha sottolineato un portavoce della Commissione Ue. 

Nel RepowerEu saranno previste anche risorse per 4 miliardi di euro per l'ecobonus per le abitazioni private a supporto delle famiglie a basso reddito, che prima invece erano escluse dalla detrazione fiscale.

Il dissesto idrogeologico

Nelle 152 pagine presentate da Fitto ci sono tutti gli interventi espunti dal Pnrr, che mettono in fibrillazione ministeri e soprattutto i comuni, che sono i più toccati delle modifiche. Ad uscire dal piano, infatti, sono 6 miliardi per interventi di valorizzazione del territorio e di efficientamento energetico dei comuni, 3,3 miliardi per rigenerazione urbana, 2,5 per piano urbani integrati, 1,2 per gestione dei rischi di alluvione e idrogeologici, 725 milioni per servizi e infrastrutture sociali, e poco più di un miliardo per valorizzazione dei beni confiscati, verde urbano e promozione di impianti innovativi. Verrà chiesto anche di ritardare gli adempimenti, con uno slittamento di 15 mesi per la riduzione dei tempi di pagamento della Pa (che entro fine anno avrebbe dovuto liquidare sempre le proprie fatture in 30 giorni) e un rinvio anche per la riduzione degli arretrati dei tribunali.

Fitto ha ripetuto più volte che non si tratta di un vero e proprio definanziamento perchè le misure dovrebbero essere recuperate in altri progetti. Tuttavia il dato resta: a sparire dal Pnrr e quindi dagli investimenti da completare entro il 2026 nella speranza che vengano riassunte in altri progetti ci sono una serie di misure che hanno a che vedere con rischi idrogeologici e di cui oggi – anche alla luce dei disastri climatici di queste settimane – il paese avrebbe disperatamente bisogno. 

Le ragioni dei tagli, o della «riorganizzazione» per dirla con il ministro, sono da ritrovarsi nella «difficoltà di rendicontazione e ammissibilità e la difficoltà evidente di completare al 100 per cento i lavori entro il 30 giugno 2026», con il rischio quindi di vedersi revocare i fondi Pnrr e di doverli pagare di tasca propria attraverso il bilancio statale.

In altre parole, si sancisce quello che già era stato denunciato dai Comuni e dalla Corte dei conti: la difficoltà burocratica per le piccole amministrazioni, a causa della mancanza di competenze tecniche e amministrative. Per questo il governo Draghi aveva approvato un decreto che prevedeva il potenziamento amministrativo dei comuni per il Pnrr, che però è stato pubblicato in gazzetta dal governo solo a febbraio 2023, con dubbi sulle risorse finanziarie per sostenerlo.

Le ferrovie di Salvini

Non solo, a venire espunti dai progetti che devono essere chiusi entro il 2026 c’è anche la ferrovia Roma-Pescara, due lotti della Palermo-Catania, che toccano il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di Matteo Salvini, che da mesi è impegnato a percorrere in lungo e in largo l’Italia inaugurando cantieri. Non a caso, appena il taglio è stato reso noto, è partita la fibrillazione.

Fonti del Mit hanno immediatamente precisato che «La Roma-Pescara è confermata ma riceverà finanziamenti alternativi ai fondi Pnrr», ma «La scelta di rimodulare i finanziamenti è figlia della situazione ereditata dall’attuale governo, in carica da circa nove mesi». Tradotto: è colpa del precedente governo e quindi dell’esecutivo di Mario Draghi.

Immediata è stata la controreplica di Fitto, il quale ha specificato che sulle modifiche c’è stata «intesa» anche con Salvini. Tuttavia, la fibrillazione al Mit non è passata inosservata.

Del resto, Fitto ha detto chiaramente ciò che nei mesi scorsi era stato lasciato sottinteso e anzi negato: la difficoltà di mettere a terra gli investimenti nei tempi previsti. «L’alternativa è lasciare tutto come sta, così tra un anno ci diranno che non abbiamo speso i soldi e che la Commissione europea li ha revocati», ha detto il ministro.

Lo scontro 

Per quanto Fitto abbia tentato di minimizzare, parlando solo di uno spostamento dei fondi, la scelta del tipo di misure da «rimodulare» ha fatto esplodere le opposizioni, dal Pd al Movimento 5 Stelle fino al Terzo polo.

In particolare lo spostamento dei fondi per il dissesto idrogeologico: «Una scelta miope e gravissima», l’ha definita Anna Ascani (Pd), mentre i deputati grillini della commissione Ambiente hanno parlato di «governo in totale cortocircuito sulle tematiche ambientali e climatiche», dopo che il ministro Nello Musumeci era intervenuto in aula sui rischi idrogeologici del paese. «L’Italia non è governata», hanno rincarato la dose le senatrici del Gruppo Azione-Italia Viva Silvia Fregolent e Raffaella Paita, normalmente meno dure con l’esecutivo.

A pesare di più sul governo è però la reazione dell’Anci. Il suo presidente, Antonio Decaro ha infatti appreso oggi ed è rimasto «colpito» dallo spostamento dei «13 miliardi di euro di fondi Pnrr che erano stati assegnati ai comuni». Di qui la richiesta di «garanzie» sul fatto che gli investimenti non spariranno ma verranno comunque sostenuti anche con fondi nazionali,  «come in cabina di regia ci è stato assicurato che verrà fatto».

Una garanzia che per ora il governo non ha ancora dato, anche perchè impegnerà potenzialmente la prossima legge di Bilancio.

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