Un giornalista che diffonde fake news e disprezza il capo dello stato non è in contrasto con il codice etico del servizio pubblico. Uno scrittore che ha espresso un’opinione critica con una citazione letteraria, invece sì. Sembra un paradosso, ma è la Rai al tempo del sovranismo. Quella che ha visto arrivare ai vertici di viale Mazzini la coppia meloniana composta dall’amministratore delegato Roberto Sergio e del direttore generale Giampaolo Rossi.

Dopo aver assistito alla fuga dall’azienda di alcuni dei volti più noti e apprezzati, i due hanno scelto di cancellare dai palinsesti Insider, il programma di Roberto Saviano. All’origine le sue parole contro Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Peraltro già note quando la trasmissione dello scrittore è finita nella programmazione, a giugno.

Ciò nonostante i due non hanno esitato ad assegnare un programma su Radiouno (guidata dal fedele Francesco Pionati) all’ex presidente Rai Marcello Foa, vicinissimo alla Lega e criticato già all’epoca della sua nomina, slittata nel 2018 dopo che in commissione di Vigilanza non si era raggiunto il quorum.

La motivazione precisa della cancellazione di Insider, in realtà, continua a essere ignota, vista la mancanza di una nota ufficiale: l’epurazione di colui che per un mese è stato agitato come prova tangibile del pluralismo promosso dalla nuova dirigenza, si è consumata in un’intervista di Sergio al Messaggero.

In attesa di un chiarimento da parte dell’amministratore delegato, però, sembrano non esserci problemi per un giornalista che non solo in passato ha detto di guardare al presidente della Repubblica Sergio Mattarella «con disgusto» ma ha anche diffuso in diverse occasioni delle fake news.

I consiglieri di amministrazione Francesca Bria (quota Pd) e Riccardo Laganà (eletto dai dipendenti) hanno provato a fare chiarezza su quale sia, da adesso in poi, il metro di giudizio da utilizzare per ammettere oppure no un giornalista in Rai. Lo hanno fatto con una lettera inviata ai vertici aziendali in cui chiedono se, alla luce del caso Saviano, «siano state controllate tutte le passate dichiarazioni di collaboratori e dipendenti Rai per le valutazioni di competenza verificandone compatibilità con i principi etici dell’azienda».

Il bagaglio di Foa

Nella lunga lista di falsità rilanciate dall’ex direttore del Corriere del Ticino c’è tutto il repertorio complottista di stampo sovranista dell’ultimo decennio: dai presunti effetti collaterali dei vaccini iniettati in un tempo troppo ravvicinato alla falsa rivelazione sulle donazioni che avrebbero ricevuto alcuni parlamentari del Pd dall’imprenditore George Soros. Foa – vicino a Matteo Salvini, tanto che per un periodo suo figlio ha fatto parte dello staff del ministro, mentre lui si è offerto come spalla durante l’incontro con l’ideologo trumpiano, Steve Bannon – è anche un sostenitore dell’esistenza dell’ideologia gender, utile a «tentare di sradicare l’identità sessuale naturale della stragrande maggioranza delle persone».

Per non parlare delle tendenze filorusse di Foa, che oggi metterebbero in imbarazzo perfino la Lega, considerato lo sforzo del partito per nascondere le passate simpatie verso Vladimir Putin. Tutte questioni che appartengono sì al passato di Foa, che dopo la fine del suo mandato in Rai è stato membro indipendente del Consiglio d’amministrazione della società di consulenza Azimut, ma che, secondo il criterio applicato da Sergio e Rossi con Saviano, sono tranquillamente utilizzabili per valutare la compatibilità di un giornalista con il servizio pubblico.

L’idea di utilizzare il codice etico come un’arma, insomma, rischia di trasformarsi in un boomerang per Sergio, che dovrà affrontare anche un’interrogazione del Pd sul caso Saviano, a cui sta per aggiungersene un’altra sul rientro di Foa. Mentre l’appello dell’associazione Articolo 21 per mandare in onda Insider ha già raccolto migliaia di firme. L’autunno a viale Mazzini si preannuncia bollente.

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