Tra i tanti finanziatori della fondazione Open che, dopo aver bonificato decine o centinaia di migliaia di euro, chiedevano contropartite ai renziani e ai loro sodali c’è di tutto. Armatori come Vincenzo Onorato, professionisti della biomedicina come Piero Di Lorenzo, lobbisti del British american tobacco, grandi costruttori come i Toto, vecchi amici di Matteo Renzi come Riccardo Maestrelli, ossia l’uomo che nel 2018 ha prestato 700mila euro all’ex premier per acquistare la sua villa di Firenze.

Le carte depositate dai pm della procura toscana che indaga a vario titolo per finanziamento illecito, corruzione e traffico di influenze raccontano anche la vicenda di Maria Laura Garofalo, socia e amministratrice delegata del gruppo della sanità privata Garofalo healt care spa che, a fine 2014, decide di versare 25mila euro a Open.

Una manager poco conosciuta al grande pubblico, ma che con 14 cliniche sparse in tutta Italia di cui ben sei nel Lazio è a capo di una delle realtà più importanti del settore. Sicuramente uno dei gruppi più importanti nella regione governata da Nicola Zingaretti.

L’imprenditrice non è indagata, ma i pm hanno deciso di perquisirla e poi interrogarla come persona informata sui fatti. Secondo i finanzieri dalle sue chat con l’imprenditore Patrizio Donnini (considerato dagli investigatori vicinissimo al “giglio magico” e accusato di corruzione e traffico di influenze in fascicoli paralleli dell’inchiesta sulla fondazione) le contribuzioni della donna non erano semplici erogazioni liberali, ma donazioni che «appaiono finalizzate a consolidare e rafforzare i rapporti con esponenti del Partito democratico collegati alla fondazione Open, potenzialmente funzionali agli interessi delle case di cura del gruppo Garofalo».

Ancora Tiziano

La storia di Garofalo inizia nel 2013. L’imprenditrice è in grandi ambasce: un’importante clinica del gruppo, la Hesperia hospital, dopo una serie di vicissitudini viene espulsa dall’associazione che raggruppa le strutture private accreditate dalla regione Emilia-Romagna. «Per me era un fatto illegale, perciò chiesi di essere ricevuta dall’assessore e dal presidente Vasco Errani, richieste che purtroppo caddero nel vuoto» ha ricostruito Garofalo ai pm fiorentini. «Mio cugino incontrò dopo qualche tempo tale Virgilio Castri, che si vantava di essere amico della famiglia Renzi. Tanto che propose di organizzare un incontro tra me e loro».

Il primo randez vous secondo il racconto della manager si è tenuta a casa sua, a Roma, in presenza di Tiziano e lo stesso Castri. Era l’autunno del 2013, e Renzi junior si preparava alle primarie per diventare segretario del Pd.

Oggetto della chiacchierata: organizzare al più presto un incontro con gli uomini di Errani. «Tiziano mi disse che ne avrebbe parlato al figlio Matteo e con Graziano Delrio (al tempo ministro del governo Letta, ndr). Mi disse “di lì a qualche giorno”, poiché era in programma la comunione di suo nipote e che in quell’occasione ci sarebbe stato anche Delrio».

Garofalo dice che il secondo appuntamento si è tenuto sempre nella capitale ma all’hotel Bernini a Roma, albergo dove Matteo Renzi era solito pernottare. «Raccontai a lui della mia vicenda, si dimostrò molto interessato e mi disse inoltre che se fosse diventato presidente del Consiglio avrebbe avuto bisogno di interlocutori credibili relativamente alla sanità. L’incontro si tenne a fine ottobre 2013, a tal proposito consegno una mail da me inviata a novembre a Tiziano Renzi» dice Garofalo agli inquirenti, consegnando copia della missiva al babbo: «Suo figlio mi ha sorpreso, Matteo è venuto da solo, senza autisti, senza segretari, senza scorta: evidentemente, come me, deve aver avuto un buon esempio di vita – si legge – Voglio ringraziarla perché mio figlio ha preso a cuore le questioni che mi riguardano e che persino alla comunione di suo nipote ha sensibilizzato Delrio sul caso della mia struttura modenese», scrive la patron delle cliniche a Tiziano, che risponde ringraziandola.

LaPresse

Tra Donnini e Moretti

Garofalo spiega che nonostante le attenzioni non è stata ricevuta da nessuno. Aggiungendo però che le interlocuzioni con Tiziano Renzi sono continuate. «Mi presentò lui a fine 2013 Donnini». L’imprenditore aveva avuto infatti «il mandato» per vendere una clinica in Piemonte, che voleva piazzare proprio a Garofalo. L’affare non si è concluso, ma Donnini qualche tempo dopo ha proposto all’imprenditrice di finanziare la Leopolda, l’evento annuale della corrente renziana.

«Non ci fu rappresentato che il contributo era alla fondazione Open. Mai avrei immaginato che donazioni per un movimento socio culturale potessero essere impiegate per finalità completamente diverse, sono persona offesa!» dice l’amministratrice ai giudici.

Dopo aver donato a sua insaputa – usando conti correnti di cinque cliniche diverse – i 25mila euro all’organismo presieduto da Alberto Bianchi, però, Garofalo manda un primo appunto a febbraio 2015 a Donnini (che aveva provato anche a vendere, senza successo, una tv locale controllata dalla spa della donna). Oggetto: nuovi e gravi problemi con la giunta Zingaretti, che a suo parere aveva assunto «un atteggiamento particolarmente sfavorevole nei confronti del gruppo». Approntando tagli milionari alle contribuzioni pubbliche che «hanno imposto – scrive Garofalo al renziano – l’avvio di una procedura di licenziamento collettivo per oltre 160 persone». La speranza, ora, è quella di convincere gli uomini di Zingaretti di mettersi «intorno a un tavolo» insieme a lei, per trovare «soluzioni condivise e rapide».

«Matteo aiutami tu»

Dalle e-mail sequestrate a Donnini, quest’ultimo ipotizza che l’uomo giusto per occuparsi della faccenda dell’amica è Luca Lotti, al tempo sottosegretario a palazzo Chigi. Nulla, però, sembra muoversi. Per mesi e mesi. Così la finanziatrice di Open il 16 settembre 2015 scrive una lettera diretta al presidente del Consiglio Renzi (sequestrata sul pc di Garofalo) in cui gli ricorda l’incontro a Roma di due anni prima e gli chiede senza mezzi termini «un intervento di giustizia che induca Zingaretti a emettere i doverosi provvedimenti che nel rispetto delle regole correggono una situazione tanto iniqua».

Quattro giorni dopo la manager – in concomitanza con alcuni articoli di stampa del Gazzettino che raccontavano come il gruppo Garofalo avesse donato 30mila euro alla campagna di Alessandra Moretti, al tempo candidata governatore del Veneto – manda un messaggio su WhatsApp a Donnini, che con la sua agenzia Dotmedia era stato lo stratega della campagna (perdente) della piddina.

È furiosa. «Letto i giornali? Bel danno! Sono preoccupatissima», scrive. Donnini: «Domani mattina guardo e cerco di capire cosa fare». Garofalo: «Ma che domani mattina! Ci hanno impostato i titoli degli articoli! “Colosso della sanità”...Adesso basta! Ma lei lo sa che in Veneto adesso mi faranno pelo e contropelo!? Parli subito col suo capo. Credere in lui non può significare solo farsi sbattere porte in faccia...ora chi sta dietro e sopra di lei si deve muovere. Tutto questo e neppure un riscontro sulla lettera che ho scritto quando lei mi ha detto di farlo...almeno rispondesse alla lettera che gli ho scritto».

Tradita e abbandonata

Donnini prima cerca di ammansire Garofalo dicendo che può metterla in contatto con «Luca Felletti, nuovo segretario della regione Veneto mio carissimo amico», poi dice che la lettera (presumibilmente quella a Renzi) «l’ho lasciata a casa sua a Pontassieve. Ho chiesto alla moglie di darmi conferma quando l’avrà letta».

Da sostenitrice di Open, seppure a suo dire a sua insaputa, Garofalo aggiunge di essere «delusa e dispiaciuta: mi sento anche un po’ tradita e abbandonata». Donnini, contrito: «Sono mortificato. Sono stato io a chiederle di fare una donazione». La patron delle cliniche è esausta: «Sì lei me lo ha chiesto, ma l’ha fatto per qualcun altro che ora non può permettersi di voltarmi le spalle. Lei ha solo svolto il suo incarico».

Non sappiamo se Renzi abbia mai davvero ricevuto la richiesta d’aiuto, o se Donnini millantasse di averla consegnata nelle mani della moglie dell’ex premier, Agnese: al tempo la casa di Pontassieve era presidiata dalla scorta, e l’accesso non era semplice. È un fatto però che Donnini sia riuscito a ottenere, dal gruppo della donna, decine di migliaia di euro per Open e la Moretti, e che nulla sia riuscito a fare nell’interesse dell’imprenditrice.

«Sul rischio licenziamenti nel Lazio di più di 400 dipendenti delle mie aziende ci spinse a chiedere, tramite i nostri uffici, un incontro con Renzi o con il sottosegretario Lotti» dice Garofalo alla fine dell’interrogatorio rilasciato a gennaio 2020. «Non abbiamo avuto alcuna risposta. Addirittura Lotti, non mi ricordo se tramite Tiziano Renzi, mi fece arrivare il messaggio che non mi voleva incontrare».

 

© Riproduzione riservata