Il premier Giuseppe Conte «è incapace e debole, un elemento di stabilizzazione del disordine», Renzi «un capitano che ha perso l’esercito e ora va a cavallo di un ronzino», però il vero problema italiano «è una crisi che viene da lontanissimo», i massimi vertici istituzionali praticano il tabù del voto «ma se davvero non si può votare, allora sì che diventa uno stato di eccezione». Allacciare le cinture di sicurezza, quando c’è crisi politica la conversazione con Rino Formica diventa un sentiero da seguire in stato di massima allerta.

Classe 1927, socialista, più volte ministro nella Prima repubblica, autore di definizioni definitive - per i minori: la politica «è sangue e merda», il Psi «una corte di nani e ballerine», «il convento è povero ma i monaci sono ricchi», molte altre sono sparse in libri e interviste, anche qui di seguito non ne fa economia – ora coscienza lucida e critica di un’Italia che vede nelle macerie. Il nostro sentiero inizia in salita, direzione il Colle più alto. «La tendenza generale è a stabilizzare il disordine. E tutti coloro che hanno responsabilità di guida del paese non affrontano o hanno paura di affrontarne la causa profonda. Si affrontano le crisi come fossero segmentate: economica, sociale. Invece la crisi è della struttura istituzionale. Vedi la questione delle elezioni».

Formica, non si può votare: c’è la pandemia, il vaccino, bisogna fare il Recovery fund. Non è così?

Se è così bisogna regolare come va avanti un sistema democratico senza elezioni per un periodo imprevedibile, perché l’epidemia ha un tempo imprevedibile. Allora si ha il dovere di affrontare una questione che nella nostra Costituzione non c’è, lo stato di eccezione. La guida più alta di questo paese si sta dimostrando inadatta ad affrontare le situazioni di carattere straordinario.

Il presidente Mattarella? È il riferimento di un paese piegato dal morbo e dalla crisi.

All’inizio della legislatura serviva un ricorso immediato alle elezioni perché la ventata populistica, antiparlamentare e antipolitica era diventata il primo partito, ma un partito che non poteva coalizzarsi con altre forze. Constatata l’impossibilità di coalizione, bisognava tornare al voto. In altri paesi democratici in casi del genere è stato naturale.

Ma i Cinque stelle sono stati “costituzionalizzati”. Non era una vittoria proprio del parlamentarismo?

Si sono coalizzati con la Lega perché è stato accantonato il principio costituzionale della coalizione di governo e si è escogitata l’idea al “contratto”, un insieme di norme che regolano interessi contingenti. Poi l’operazione è fallita. E neanche allora si è andati alle elezioni. Si è sperimentato un altro contratto: il Pd si alleava con M5s accettando una battaglia antisistema fondata sul principio che la rappresentanza parlamentare è uno spreco costoso e inutile. Quando questo oltraggio è diventato norma con voto popolare c’era un obbligo: andare al voto. Perché c’era la modifica delle assemblee previste dalla Carta. Con questa platea elettorale cancellata dal referendum si andranno ad eleggere un presidente della Repubblica che durerà sette anni, alcuni giudici costituzionali che dureranno nove e dei membri del Csm che dureranno quattro anni.

Non siamo andati al voto perché avrebbe vinto la destra, populista nazionalista eccetera.

Il principio è che si va a elezioni anticipate se avviene un profondo mutamento nell’ordinamento costituzionale. Non si cerca la stabilizzazione del disordine ma la reintroduzione dell’ordine. Un partito può dire «non voglio il voto perché ora non mi favorisce», non il garante istituzionale.

E oggi non rischieremmo di perdere i soldi europei?

Non è vero che l’Europa ha interesse a «quieta non movere», non agitare ciò che è calmo, ha interesse a sapere se nei prossimi dieci anni, quando saranno sviluppate le politiche di sostegno, l’Italia sarà un paese stabilizzato o no. Un paese malato, instabile, non la rassicura. In Italia siamo a un’innovazione politica, non più il doroteismo della tradizione democratica cristiana, ma il doroteismo del populismo, la stabilizzazione del disordine a bassa tensione.

Conte è il garante del disordine a bassa tensione?

Non è il garante, è un elemento. Più incapace sei, più debole sei, più sei elemento di stabilizzazione. L’arte politica del doroteismo che cos’era? Smorzare il conflitto, che invece è vitale nella società democratica, quello sociale, politico o istituzionale. Il doroteismo è tenere tutto a basso tono, perché tutto si aggiusta. Mussolini negli anni Trenta, quando fece l’avventura dell’Etiopia, disse: «Noi lentamente come l’asino, camminando, ci aggiusteremo la soma». Aggiustare la soma, vivere nella realtà esistente, non modificarla. La politica conflittuale è un rischio, ma la politica o forza il corso delle cose o si adegua. Il doroteismo si adegua.

In realtà oggi Conte non ha evitato i conflitti, ha sfidato Renzi e ora fatica.

Conte si è buttato a mare ma sa che l’acqua è bassa e fa anche lo spiritoso. Fa il delfino, ma bisognerebbe vedere come nuota nell’acqua alta. Sa che non si muove niente. Si sta costruendo una sua identità personale, che non è una forza politica.

Matteo Renzi?

Renzi ha dalla sua la paura del voto che è nei vertici delle istituzioni e in parlamento. Gioca facile a far vedere che rischia tutto, invece non rischia niente. Il suo è un problema di visibilità: non ha una forza politica e da leader del Pd ha sciupato un patrimonio. È un capitano che ha perso l’esercito e ora va a cavallo di un ronzino, in un deserto, da cui sa che non uscirà nessun esercito che lo potrà abbattere, perché battaglie non ci saranno. Almeno fino a quando non ci sarà. Bisognerebbe togliere di mezzo il semestre bianco. Nel 1991 fu fatto in pochi mesi. Ma non succederà ed è la prova che abbiamo un parlamento che cerca scuse. Ma questo tempo non è eterno, fra due anni la proroga delle camere per Costituzione è possibile solo in stato di guerra: che facciamo, dichiariamo la guerra a San Marino?

E in tutto questo non c’è una forza democratica all’altezza?

La sinistra residua italiana, quella organizzata che si trova più o meno nel Pd, ha scelto la via del meno peggio. Segue il corso delle cose, non lo forza. E quando scegli questa via hai già scelto l’adattamento, perché c’è sempre un peggio da evitare.

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