Giorgia Meloni non può permettersi esitazioni nel suo videomessaggio in occasione dell’anniversario dello scoppio della guerra in Ucraina. «Il mondo libero è debitore nei confronti delle donne e degli uomini ucraini. L’Italia è dalla loro parte», dice. Il messaggio ha una lunga lista di destinatari. Oltre ai partner europei e internazionali, nella mente della premier ci sono sicuramente gli alleati di governo, in particolare Silvio Berlusconi.

L’ex cavaliere con le sue dichiarazioni su Volodymyr Zelensky («fossi stato il presidente del Consiglio non lo avrei incontrato»), ha messo in grossa difficoltà Meloni a pochi giorni dal suo viaggio a Kiev. D’altra parte, la risposta del presidente ucraino, che ha accusato l’ex premier di non conoscere gli orrori della guerra, ha prodotto parecchio fastidio ad Arcore. E dalla residenza dell’ex premier è filtrata la velenosa replica di Berlusconi: «Da ragazzino sono stato sfollato anche io, gli orrori della guerra li ho vissuti».

Tensioni e polemiche che la maggioranza spera di superare presto. A rasserenare gli animi ha contribuito la telefonata di Meloni a Berlusconi, ufficialmente motivata dal bisogno di aggiornare un alleato dell’esito del viaggio a Kiev. Lo scambio sembrerebbe avere stabilizzato la situazione. «Forza Italia continua a essere leale com’è sempre stata nei confronti della maggioranza che da questo colloquio esce più forte e più coesa» ha detto Antonio Tajani.

I pontieri

È stato proprio il ministro degli Esteri il primo a impegnarsi per riportare la calma. Ormai esperto nella gestione delle uscite pubbliche del suo presidente, Tajani giovedì era in missione a New York per l’assemblea generale dell’Onu, ma nelle sue dichiarazioni pubbliche non ha perso occasione per ribadire la vicinanza di Forza Italia a Kiev.

Da Palermo un’altra ministra di Forza Italia, Anna Maria Bernini, durante l’inaugurazione dell’anno accademico dell’università alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ha ribadito che quello all’Ucraina è stato «un attacco che ci ha sconvolti, ma ci ha scoperti ancora più uniti e più saldi nei valori fondanti l’Unione europea». Messaggi chiari e rassicuranti come quello che, durante la conferenza sulla sicurezza di Monaco, lo stesso Tajani aveva fatto avere al presidente del Partito popolare europeo, Manfred Weber, particolarmente preoccupato per le posizioni di Berlusconi, al punto da annullare il vertice del Ppe previsto a giugno a Napoli. Anche Matilde Siracusano, esponente di FI e sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, si è spesa per dimostrare che, in fondo, quelle dell’ex premier erano dichiarazioni pacifiste di «un leader che ha dimostrato in più di una occasione la sua lungimiranza sulla politica estera».

In realtà è chiaro a tutti che, nonostante i distinguo e i tentativi di correre ai ripari, Berlusconi ha detto semplicemente quel che pensa, quasi certamente influenzato dal suo rapporto personale con Vladimir Putin. Una circostanza che lo porta ad assecondare, almeno parzialmente, la narrazione moscovita sul conflitto. Inoltre l’intermittenza delle sue apparizioni pubbliche fa sì che le uscite sulla guerra cadano spesso in prossimità di appuntamenti elettorali, un tempismo sospetto che, secondo alcuni, sarebbe parte di una strategia per conquistare il consenso dell’elettorato cattolico pacifista.

La questione delle armi

Quale che sia la lettura, i pontieri del partito devono lavorare, e non poco, per ammortizzare l’impatto delle dichiarazioni dell’ex cavaliere. E ora stanno seguendo una doppia strategia. Da un lato si sforzano per appianare il conflitto con il resto della maggioranza. In un’intervista al Giornale, il capogruppo alla Camera, Alessandro Cattaneo, ha spiegato che «Forza Italia non fa polemiche» e non ha insistito sulla mancata difesa di Berlusconi da parte della premier davanti agli attacchi di Zelensky. Dall’altro, però, non c’è intenzione di sconfessare la posizione pacifista del leader di FI. Anche per non agitare l’ala più oltranzista del partito, guidata dalla capogruppo al Senato Licia Ronzulli, che non vuole vedere Forza Italia in posizione ancillare rispetto ai meloniani. Così mentre tutti si sforzano di certificare il sostegno politico e morale a Kiev, la posizione di Forza Italia è più ambigua su un ulteriore invio di armi.

Un nuovo decreto non è ancora all’orizzonte, ma lo stesso Tajani ha messo le mani avanti. «Non siamo gli Stati Uniti. Non possiamo sottrarre altre armi alle forze armate italiane. Tutto quello che potevamo mandare lo abbiamo mandato» ha detto in un’intervista al Corriere della Sera, allontanando anche la possibilità che gli alleati occidentali possano arrivare a fornire aerei militari. Sulla stessa linea Cattaneo, che promette che gli azzurri «si faranno sentire» durante le trattative sugli aiuti futuri nei consessi internazionali.

Un’esitazione che potrebbe avere un peso nelle prossime trattative interne alla maggioranza. In agenda ci sono questioni importanti, dalle decisioni sulle nuove giunte regionali in Lazio e Lombardia alla questione superbonus. O ancora, le nomine nelle partecipate: una partita che in altri tempi Forza Italia avrebbe gestito con scioltezza, approfittando della propria posizione preminente nella coalizione per mostrarsi generosa con i partner di governo. Ma nella sua nuova veste di junior partner, gli azzurri potrebbero presto trovarsi a negoziare un appoggio a un’ulteriore fornitura di armi con la possibilità di ottenere qualcosa su altri dossier.

È ancora presto per immaginare la strategia dei prossimi mesi, dice chi conosce bene i meccanismi del partito, bisogna aspettare la decisione di Berlusconi. Serve un negoziatore: a seconda che la scelta cada su Tajani o su Ronzulli, ci si troverebbe di fronte a partite molto diverse.

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