Fratelli di fiamma: Ad Atreju molto pop e il solito vittimismo

La maschera di Atreju è quella del nazionalpopolare per rifare il look al partito, una spruzzata di moderatismo che non fa mai male in tempi di governo. E nelle prossime ore, con il confronto amarcord tra Gianfranco Fini e Francesco Rutelli, i meloniani provano a prendersi un plus di attenzione mediatica. Il ritorno a casa dell’ex presidente della Camera non può passare inosservato, peraltro con il suo vecchio sfidante. Ma dietro l’immagine più pop, che si prende la “zia” della televisione, Mara Venier, o il presentatore nazionalpopolare del Festival di Sanremo, Carlo Conti, c’è sempre la fiamma del Msi che arde, simbolo imprescindibile di Fratelli d’Italia. Con la cascata di vittimismo e furore contro i “nemici”. Meloni, tre anni de noantri: l’economia ristagna, diritti sotto attacco Dopo due giorni di evento, intorno ai volti televisivi, ci sono gli amici di sempre, la conventicola della destra, dai Gabbiani (della storica sede di Colle Oppio) di Fabio Rampelli alla successiva generazione Atreju capitanata proprio da Giorgia Meloni. Riuniti intorno alla fiamma. Il deputato e responsabile organizzazione, Giovanni Donzelli, lo ha confermato nell’intervista a La Stampa: il simbolo non si tocca. Ci aveva provato, mesi fa, il ministro per i rapporti con il parlamento, Luca Ciriani. Una fuga in avanti subito stoppata. La lista dei nemici Da Castel Sant’Angelo, location romana scelta per l’evento, lo stile è sempre lo stesso: un passivo aggressivo, riveduto in chiave politica. C’è l’attacco duro, mascherato da ironia. È il modello proposto dalla pagina social di Atreju, del resto. Non mancano solite liste di proscrizione, con la scusa della goliardia. Si chiama “bullometro”, ideato per denunciare i presunti “bulli” della sinistra, ma finisce per creare bersagli. Uno dei prediletti è il segretario della Cgil, Maurizio Landini. Moi è uno e bino: la mattina esperto, la sera uomo-Atreju Ma l’altra grande ossessione è diventata la segretaria del Pd, Elly Schlein. Per parafrasare Nanni Moretti, si sta notando (molto) di più per non essere andata ad Atreju, vista la quantità di attenzioni e menzioni che sta ricevendo dai presenti. Nel primo giorno la leader dem è stata molto presente nelle parole. E ancora ieri era al centro – metaforico – della scena. «Scusate se vi abbiamo fatto litigare», è stato il messaggio su un cartellone con le foto di Schlein e Giuseppe Conte. Il manifesto è stato mostrato durante la diretta de “L'Italia chiamò”, la radio dei gruppi parlamentari di FdI. Alla condizione c’erano i parlamentari Grazia Di Maggio ed Etelwardo Sigismondi, insieme a una deputata in rampa di lancio, Sara Kelany. Il leader romano di FdI, Marco Perissa, invece si è scagliato contro il flashmob e la mobilitazione antifascista a Più libri più liberi, la fiera dell’editoria in corso a Roma: «Una certa sinistra per troppo tempo ha pensato di essere padrona di alcuni ambienti, di alcuni segmenti e questa storia però nel settembre del 2022 è finita». Atreju diventa mainstream: ecco il Partito della nazione Manovre e riforme Di questi tempi Atreju è stata preziosa per mettere, ulteriormente, al centro della scena Arianna Meloni, sorella della presidente del Consiglio, che sta diventando onnipresente – come è anche legittimo che sia visto il ruolo politico di primissimo piano che ricopre – pur schermendosi dietro la sua timidezza. È stata la più cercata e riverita, ognuno a caccia di un selfie da lanciare nell’etere delle storie social. L’evento è un prezioso alleato, anche per la tempistica, per provare a tenere alta l’attenzione intorno al partito di maggioranza, in un momento delicato per i passaggi parlamentari. Una perfetta arma di distrazione di massa nei giorni in cui la manovra economica, che già arranca, entrerà (o almeno dovrebbe) nel vivo con il voto di emendamenti e il quadro completo delle misure adottate. Il moderatismo di facciata cede dunque il passo alla propaganda più spinta. Ed emerge, sui temi concreti, quando si va oltre i salamelecchi delle cerimonie. Atreju e quella abitudine della destra di prendere in prestito solo nomi della sinistra FdI gira e rigira, con la tecnica del dialogo, vuole mettere il cappello addirittura alle riforme condivise in parlamento, come quella sui poteri a Roma capitale. I partiti e i gruppi stanno affrontando con serietà la questione per arrivare a un testo condiviso, uno dei principali alfieri della riforma è stato il deputato del Pd, Roberto Morassut. Nei 5 Stelle la battaglia è stata condotta, tra i vari, dall’ex capogruppo, Francesco Silvestri. Ma la propaganda di Fratelli d’Italia ha deciso che va attribuita direttamente a Meloni. «La genesi della riforma di Roma Capitale viene da lontano: per la destra italiana, la questione di Roma non è mai stata locale. Tutti i leader della destra sono stati consiglieri capitolini: Giorgio Almirante, Gianfranco Fini, Giorgia Meloni, prima firmataria di un ordine del giorno che impegnava comune e governo affinché Roma avesse poteri maggiori rispetto a un comune normale», ha rivendicato il senatore di FdI, Andrea De Priamo. Nazionalpopolare, purché sia meloniano.