Lo scandalo giudiziario che ha investito le Ferrovie dello Stato corre veloce. Dopo le perquisizioni di due settimane fa negli uffici di piazza della Croce Rossa a Roma, Domani ha scoperto che la procura di Roma ipotizza – tra vari reati – anche quello di corruzione. I fascicoli aperti sulla spa controllata dal ministero dell'economia e sua alcune sue controllate sono una mezza dozzina, e in uno di quelli più delicati, in merito ai rapporti tra Fs e le Assicurazioni Generali, i pm hanno iscritto sul registro degli indagati il nome di Raffaele D'Onofrio. Un top manager che per 24 anni ha lavorato nel gruppo Fs come responsabile della Struttura della gestione del rischio, un organismo in capo alla Direzione centrale finanza dell'azienda di stato.

D'Onofrio, perquisito dagli uomini della Guardia di Finanza su ordine dei pm Claudia Terracina e Fabrizio Tucci, è indagato proprio per corruzione. L'ipotesi investigativa è che l'ex dirigente (uscito a sorpresa da Fs il 30 giugno del 2017 in maniera - fanno sapere dalla società - «del tutto consensuale») abbia avuto un ruolo centrale nella gestione delle gare milionarie per le coperture dei rischi messe a bando da Fs.

Si tratta di appalti da decine di milioni di euro l'anno, vinti sistematicamente da Generali: dal 2011 al 2019 la compagnia triestina ha incassato da Ferrovie quasi mezzo miliardo di euro, accaparrandosi quasi il 95 per cento dei premi su ogni settore di rischio, dalla responsabilità civile agli incidenti grandi e piccoli fino agli infortuni del personale. Alla concorrenza sono rimaste solo le briciole. Adesso i magistrati vogliono capire se D'Onofrio e altri dirigenti abbiano ricevuto utilità di vario genere per favorire il monopolista, o se le gare siano state vinte in maniera lecita grazie alla capacità di Generali (leader nazionale nelle gare europee) di mettere in piedi proposte migliori di quelle presentate dai rivali.

Milioni&indennizzi

L'ex funzionario, in virtù della sua posizione nell'ufficio, avrebbe poi gestito anche le ormai celebri pratiche con cui l'attuale amministratore delegato Gianfranco Battisti, al tempo responsabile dell'Alta velocità di Trenitalia, ha ottenuto due indennizzi record da più di 1,7 milioni di euro complessivi. Il primo, da 153mila euro nel 2016, fu bonificato a causa di un infortunio avvenuto qualche mese prima nella sede delle Ferrovie (si ipotizza una caduta). Un altro da ben 1.587.965 euro, pagato invece per una «malattia» certificata nel 2014. Si tratta di uno dei risarcimenti più alti ottenuti da un dipendente nella storia recente delle Fs: fortunatamente Battisti – voluto a capo dell'azienda dai Cinque stelle nel luglio del 2018 - nonostante l'infermità confermata da periti aziendali, da quelli di Generali e studi medici terzi, ha continuato brillantemente la sua carriera professionale, scalando tutta la piramide dell'azienda industriali più importante del Paese.

L'inchiesta è solo alle sue fasi iniziali, ed è dunque possibile che le ipotesi dell'accusa possano essere smentite da evidenze contrarie. Vedremo gli sviluppi a breve, anche perché gli esiti probatori delle perquisizioni a casa di D'Onofrio e negli uffici di Fs e Generali sono ancora sconosciuti. Dalla procura il riserbo è assoluto.

È un fatto acclarato, invece, che la vicenda giudiziaria sia figlia di una violenta guerra per il potere che sta squassando la prima linea del management, spaccata tra i fedelissimi di Battisti e i colonnelli devoti al presidente Gianluigi Vittorio Castelli. Come raccontato da questo giornale una settimana fa, esposti incrociati (a partire da quello del presidente del collegio sindacale Alessandra Del Verme sulla vicenda delle gare assicurative) e audit interni si stanno impilando da mesi sulle scrivanie dei magistrati di Piazzale Clodio, che hanno recentemente aperto filoni d'indagine anche su un appalto anomalo da mezzo miliardo di euro per la gestione della rete informatica del gruppo.

La partita delle nomine

«Ormai la tensione è alle stelle. Anche perché tra pochi mesi i vertici di Fs andranno in scadenza, e il governo dovrà decidere se rinnovarli oppure sostituirli», spiegano dagli uffici dell'azienda. Fonti vicino al M5S sottolineano maliziosamente che la Dal Verme è la cognata del commissario europeo Paolo Gentiloni, pezzo grosso del Pd, e aggiungono come democrat e renziani «possano ora sfruttare rumor dell'inchiesta per rimpiazzare Battisti, solo perché è stato nominato dall'ex ministro Danilo Toninelli e perché è stimato da Luigi Di Maio». I nemici interni dell'ad spiegano al contrario che la denuncia della Dal Verme, che è pure apprezzato numero uno dell'Ispettorato generale della Ragioneria dello Stato, era «solo un atto dovuto», e che la battaglia per le nomine prescinderà dalle vicende giudiziarie «e si baserà solo sulla valutazione di conti e bilanci».

La scadenza del mandato del consiglio di amministrazione è fissata alla prossima primavera: risulta a Domani che il Pd possa puntare davvero su un volto nuovo come Arrigo Giana, direttore generale dell'Atm di Milano. Se Renzi sogna un improbabile ritorno di Renato Mazzoncini, l'ex amministratore delegato che mise nel mirino il monopolio delle Generali e che fu defenestrato dai grillini nell'estate del 2018 prima della naturale scadenza, Di Maio e il sottosegretario Riccardo Fraccaro (i due ras delle nomine pentastellate) per ora hanno deciso di non abbandonare il loro pupillo. «Cambieranno strategia solo se la situazione giudiziaria dovesse coinvolgere Battisti in prima persona», ragionano da Palazzo Chigi. «Per ora, i risultati industriali sono ottimi». Chissà se rassicurazioni di questo tipo basteranno al manager (e ai suoi colonnelli) per dormire sonni tranquilli.

 

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