Dopo tante risoluzioni della comunità internazionale per l’istituzione di «pause umanitarie», nel tardo pomeriggio di mercoledì si è diffusa la notizia di una possibile tregua. Hareetz ha rivelato che l’Egitto era vicino alla conclusione di un accordo tra Hamas e Israele: un cessate il fuoco temporaneo in cambio del rilascio di alcuni ostaggi.

«Non abbiamo ancora raggiunto il traguardo, ma a differenza dei colloqui precedenti, c'è ottimismo», ha detto una fonte egiziana al giornale. La notizia è stata anche confermata da una fonte vicina ad Hamas. Il patto dovrebbe prevedere la liberazione di 12 ostaggi, di cui sei americani, in cambio di tre giorni di tregua.

Tuttavia, Abu Obeida, portavoce delle Brigate al Qassam, ala militare di Hamas, ha detto che «la strada unica ed evidente per la liberazione degli ostaggi è un accordo che preveda lo scambio di prigionieri totale o parziale». Secondo Tel Aviv, Hamas avrebbe con sé 240 israeliani.

Dentro la Striscia

Nel contesto di una guerra in cui il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, afferma che «sono morti più bambini che in qualunque altro conflitto», l’Idf è avanzato via terra dentro Gaza City. L’ospedale di al Quds risulta isolato, dopo che è stata interrotta la circolazione in tutte le strade che conducono alla struttura e i continui bombardamenti nelle vicinanze.

«Questo impedisce alle équipe mediche di lasciare lo stabile per raggiungere le persone ferite» riferisce la Mezzaluna Rossa palestinese. I problemi non sarebbero finiti qui, perché l’ospedale starebbe anche ultimando le scorte di carburante e si troverebbe quindi costretto a chiudere, come già successo a 16 dei 35 ospedali della Striscia. Alcuni testimoni hanno riferito inoltre ad Al Jazeera che l’Idf si sta spostando sempre più verso il centro della City, in direzione dell’ospedale al Shifa, il complesso medico più grande ed esteso dell’enclave. Secondo i militari è «lì che si nasconde il centro di comando di Hamas», sebbene amministratori e operatori dell’ospedale lo neghino.

Continuano anche gli attacchi al sud della Striscia, dove, dall’inizio della guerra, Israele ordina ai civili di rifugiarsi, lasciando aperto il corridoio Salah al Dini Road. Mercoledì un bombardamento ha distrutto la moschea Khaled Ben al Walid, uno dei simboli della città di Khan Yunis. Il gruppo terrorista Hamas ha accusato l’Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di rifugiati palestinesi, di «collusione» con Israele nel «trasferimento forzato» dei gazawi dal nord al sud dell’enclave palestinese.

È da segnalare che l’esercito non si limita ad attacchi nella Striscia, ma da giorni effettua incursioni anche in Cisgiordania, dove mercoled, a Betlemme, undici palestinesi sono stati feriti in scontri con l’Idf. Nella stessa giornata, il premier israeliano, Benjamin Nethanyahu, ha riunito i dirigenti degli insediamenti ebraici per discutere della «grave escalation in atto nella Giudea-Samaria», ossia la Cisgiordania.

L’estensione del conflitto

Una delle ipotesi che gli Stati Uniti vogliono scongiurare è l’allargamento del conflitto. Già alcuni segni dei giorni scorsi presagivano che il contagio della guerra non fosse solo uno spauracchio (missili di Hezbollah in Libano e dei ribelli yemeniti, minacce dell’Iran e attacchi alle basi militari usa di Iraq e Siria), ma mercoledì l’abbattimento di un drone Usa da parte dei ribelli yemeniti e le parole del numero due di Hezbollah, Naim Qassem, fanno temere il peggio: «C’è il pericolo reale di sviluppi molto gravi e molto pericolosi nella regione perché Israele sta aumentando la sua aggressione contro i civili e uccidendo sempre più donne e bambini».

Il futuro di Gaza

Il G7 si è concluso con una dichiarazione unanime dei ministri degli Esteri riuniti a Tokyo: «Sosteniamo le pause e i corridoi umanitari per facilitare l’assistenza umanitaria, il movimento dei civili e il rilascio degli ostaggi». A questa sono seguite le parole del segretario di Stato americano, Antony Blinken, che ha esposto il piano degli Stati Uniti per il futuro di Gaza in un punto stampa a margine del vertice.

«Nessuna riduzione nel territorio di Gaza – ha detto Blinken – dobbiamo anche garantire che non emergano minacce terroristiche dalla Cisgiordania». Washington pensa quindi a «un governo palestinese con Gaza unificata con la Cisgiordania sotto l’Autorità nazionale palestinese, un meccanismo solido per la ricostruzione di Gaza e un percorso verso una soluzione a due stati».

Eppure è stato lo stesso Blinken – in risposta alla domanda di un giornalista in merito alle parole di Netanyahu sull’occupazione della Striscia una volta sconfitto Hamas – ad ammettere che «potrebbe essere necessario un periodo di transizione».

La precisazione di Israele

Il governo israeliano ha quindi sostenuto che le parole di martedì del premier, Benjamin Netanyahu, sul mantenimento della «responsabilità complessiva della sicurezza» nella Striscia di Gaza anche dopo la guerra non significa che ci sarà una nuova occupazione dell’enclave palestinese.

Il ministro per gli Affari strategici, Ron Dermer, membro del gabinetto di guerra, ha spiegato che l’obiettivo è garantire che la Striscia diventi un’area smilitarizzata, con le forze armate israeliane che potrebbero entrare di nuovo in caso di minacce terroristiche, ma senza governarla.

© Riproduzione riservata