Vorrei rendere una testimonianza della straordinaria lealtà istituzionale e della gravosa onestà politica di Giorgio Napolitano. Torno indietro alla primavera del 1984, allo scontro sul costo del lavoro, la contestazione del meccanismo della scala mobile: le famose 20mila lire tolte ai lavoratori con il congelamento dei tre punti della contingenza.

Ecco, quello fu per Nilde Iotti il passaggio più difficile dei suoi tredici anni di presidenza della Camera, e che in qualche misura vissi anch’io come suo portavoce. Ma, con lei, anche per altri due autorevolissimi  personaggi fu un momento assai difficile per la concomitanza di due fattori: da un lato la frattura tra il presidente del Consiglio Bettino Craxi e l’opposizione di sinistra in parlamento e la Cgil; e dall’altro lato, in parallelo, una seria frattura all’interno del Pci che ebbe tre protagonisti: il segretario generale Enrico Berlinguer, Nilde Iotti e Giorgio Napolitano allora presidente dei deputati comunisti.

La presa di posizione

Su una materia sino ad allora delegata al negoziato tra le parti sociali, Craxi volle intervenire con un decreto legge immediatamente esecutivo. Nel voto segreto (più tardi in larga misura abolito per iniziativa proprio di Iotti), il decreto fu bocciato. Ma Craxi lo ripresentò in fotocopia.

Ricorderà Napolitano: «Iotti arbitra difficili accordi tra maggioranza e opposizione per permettere a quest’ultima di dispiegare le proteste e il dissenso ma, insieme, per evitare che decada anche il secondo decreto. Per garantire cioè – punto cardine della concezione di Nilde Iotti – il diritto-dovere della maggioranza di legiferare». (È opportuno che io ricordi come già nel primo discorso d’insediamento alla presidenza, nell’estate ’79, Iotti avesse sottolineato l’esigenza di «tutelare in primo luogo i diritti delle minoranze ma anche il diritto-dovere delle maggioranze, qualunque esse siano, di legiferare»).

Aggiunse ancora il futuro presidente della Repubblica, che qui scriveva in terza persona (cito dalla sua ampia prefazione, quasi un saggio, ai discorsi parlamentari di Iotti, 2 voll., Camera dei deputati ed., 2003) «la leadership del Pci (cioè in primo luogo Berlinguer, ndr) preme perché l’iter del provvedimento non sia contenuto nei tempi e nei modi concertati in conferenza dei capigruppo con l’adesione anche del capogruppo comunista (cioè dello stesso Napolitano) il quale è solidale con Iotti dinnanzi ad una pressione che mette a repentaglio la presidenza. Ella non cede, supera la prova, conduce la Camera al voto di conversione del decreto il 18 maggio 1984».

Considero questa annotazione polemica fatta da Napolitano con una precisione e una schiettezza impressionanti un elemento significativo anche della dialettica interna al Pci ma espressa a tutte lettere in, come dire?, un atto pubblico.

La credibilità del parlamento

La lezione è (o dovrebbe essere) chiara per sempre e per tutti, ne aveva concluso Giorgio Napolitano rivendicando con trasparenti accenti critici la coerenza sua e di Nilde Iotti: l’opposizione può condurre la sua battaglia nei modi più duri, può ricorrere all’ostruzionismo (come fece in quell’occasione con estrema e giustificata tenacia) per rappresentare al paese le sue ragioni, la sua protesta, e per suscitare una riflessione, un ripensamento nella maggioranza, ma non per impedire che si giunga ad una decisione, che ci si conti, che si legiferi.

Altrimenti «si colpisce il ruolo e la credibilità del parlamento, si minano le basi delle istituzioni democratiche».

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