Dal momento in cui il nuovo presidente della Repubblica esce dalla sua abitazione romana per recarsi a Montecitorio, la campana grande posta proprio sopra l’ingresso dell’omonimo palazzo inizia a suonare per smettere quando il capo dello stato varca la soglia della Camera.

Il rintocco è certamente solenne, ma non proprio festivo, e rimanda a giornate uggiose e riti religiosi. Si tratta, infatti, di una campana bronzea recante un motto che è un ammonimento e un programma: «Onorate la giustizia voi che giudicate in terra» (Diligite iustitiam qui iudicatis terram).

Un chiaro taglio religioso per una espressione che in periodo pre unitario indicava e sanciva l’apertura delle udienze dei tribunali pontifici. Tutto sommato una frase coerente e simbolicamente evocativa e suggestiva se consideriamo che il presidente della Repubblica riveste il ruolo di presidente del Consiglio superiore della magistratura.

Un conclave laico 

L’elezione presidenziale rappresenta un grande rito repubblicano, un conclave laico il cui esito dipende da una alchimia al contempo imperscrutabile e cristallina. Ma non controllabile. Le dinamiche presidenziali sono appannaggio di alcuni importanti politici tra i grandi elettori (segretari di partito in primis), ma senza che essi stessi possano garantire alcunché.

Soprattutto, come nel 2013 o nel 2022, allorché il parlamento sia attraversato da profonde divisioni tra i partiti, ma anche all’interno degli stessi, con alta frammentazione, personalizzazione e rischi di trasformismo.

Il capo dello stato in Italia ha sempre affascinato studiosi e cittadini per il suo ruolo al contempo imparziale, o meglio terzo, e le aspettative che genera una figura rilevante quale quella di “primo cittadino” del paese.

Undici capi dello stato sono stati eletti dal parlamento tra il 1948 e il 2022. I mandati in realtà sono dodici, dato che Giorgio Napolitano ne ha ricoperti due, sebbene uno per soli due anni. In precedenza, vi erano stati due capi provvisori.

Per l’elezione presidenziale il gioco delle reazioni attese è vano, l’imprevedibilità alta. Il voto segreto, unito ai fattori indicati, accentua la tensione, dilata i tempi, esaspera le negoziazioni e contemporaneamente le vanifica, conferisce potere ai singoli elettori, anche ai peones, rendendoli per una volta importantissimi, capaci di decidere le sorti di una elezione. Non in positivo, ma certamente in negativo.

Protocollo immutato ma modificabile

Il protocollo è rimasto immutato al 1948. Da quando il primo presidente eletto dal parlamento, Luigi Einaudi, fu selezionato dopo la parentesi di Alcide De Gasperi ed Enrico De Nicola, capi provvisori dello stato per un mese il primo e per un anno e mezzo il secondo, ossia finché non entrò in vigore la Carta costituzionale.

L’Assemblea costituente dibatté animatamente sul ruolo del capo dello stato, sulle procedure di elezione, sulle prerogative e sui poteri da attribuirgli. Sebbene diverse posizioni furono presenti, il consenso fu amplissimo sulla elezione indiretta, considerando il caso statunitense come paradigmatico dell’elezione popolare diretta, ma sostanzialmente una eccezione.

Infine, il consenso fu quasi unanime, in particolare dopo la crisi di governo della primavera 1947 che divise radicalmente i partiti antifascisti, facendo riporre innanzitutto ai costituenti della Dc le opzioni per forme di governo più “forte”, compresa l’elezione diretta del presidente della Repubblica.

Intervenne personalmente il presidente del Consiglio De Gasperi che in un incontro riservato dei costituenti democristiani segnalò l’opportunità di ritirare tali proposte stante la reciproca sfiducia delle due parti in lizza, Dc e sinistre collocate su posizioni filosovietiche, e paventando una possibile rischiosa elezione diretta del socialista Pietro Nenni in un quel quadro polarizzato.

L’elezione indiretta 

L’ispirazione che guidò i costituenti sul punto “elezione” fu certamente il caso della III Repubblica francese, in cui il capo dello stato era appunto eletto in forma parlamentare e per un mandato di sette anni. Limite temporale che fu importato per il presidente della Repubblica italiana.

Il primo presidente a risiedere stabilmente al palazzo del Quirinale fu Luigi Einaudi, dopo il rifiuto di Enrico De Nicola che non intendeva occupare l’edificio che aveva ospitato fino a pochi mesi prima gli epigoni della monarchia sabauda.  

Il parlamento in seduta comune si riunisce all’interno di Montecitorio – il cui presidente ricopre anche la carica di presidente dell’Assemblea – ove trovano uno scranno circa un migliaio di grandi elettori: ai deputati si uniscono i senatori (compresi quelli a vita) e i delegati regionali.

Il Gianicolo annuncia l’elezione

Una volta designato il candidato eletto, questi giura fedeltà alla Costituzione davanti al parlamento riunito in seduta comune, e solennemente addobbata con bandiere tricolore (ventuno) e drappi rossi bordati d’oro.

Il presidente della Camera invita il neo presidente a giurare secondo l’articolo 91 della Costituzione Italiana, con la seguente formula:

«Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione».

A questo punto il capo dello stato indirizza il suo discorso alla nazione pronunciandolo dinanzi al parlamento, ossia l’unico caso in cui il presidente può rivolgersi direttamente ai parlamentari, mentre altri messaggi li potrà inviare alle Camere, ma senza presenziare.

Una volta concluse le operazioni di giuramento, il presidente rende omaggio all’Altare della Patria dove il sindaco di Roma gli porge il saluto della Capitale.

Il corteo presidenziale è particolarmente suggestivo: il capo dello stato è a bordo di una vettura d’epoca (la famosa Lancia Flaminia 335) scortata dai corazzieri a cavallo e sfila per le vie cittadine fino al Quirinale ove pronuncia un discorso dinanzi al presidente uscente. Questi riceve le insegne di Cavaliere di gran croce e la transizione può dirsi conclusa.

Nello stesso momento in cui il Presidente eletto pronuncia la formula di giuramento, i cannoni posti su un altro colle, il Gianicolo, sparano ventuno colpi di cannone a salve.

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