Figura tra le più controverse della storia italiana del secondo dopoguerra. Intellettuale comprensibilmente rimosso dalla cultura e dalla politica Italiana per gli anni tragici a cui è legato (tra le eccezioni mi vengono in mente Marco Revelli, Gad Lerner, Massimo Cacciari, Mario Tronti e Francesco Cossiga), ma studiatissimo all’estero, con punte di idolatria in America latina, Stati Uniti e Francia.

Ideologo, col bestseller Impero scritto cin Michael Hardt, del movimento no-global e assunto come riferimento da Casarini e Caruso, leader delle proteste al G8 di Genova, oltre che ispiratore di movimenti quali Podemos, nell’articolata biografia di Toni Negri c’è un posto anche per l’ebraismo.

Non solo perché è stato un attento lettore del testo biblico, in particolare del Libro di Giobbe, studiato durante la detenzione attraverso lenti rivoluzionarie (Il lavoro di Giobbe, Sugarco, 1990), ma soprattuto per aver passato due anni della sua vita nel kibbutz Nashonim, vicino a Petah Tikvà.

Gli unici, come lui stesso riferì in una conferenza tenuta all’Istituto Spinoza di Gerusalemme nel 2007, in cui ha vissuto come comunista (l’esperienza è anche raccontata in Pipe-line. Lettere da Rebibbia, Deriveapprodi 2009).

Evoluzione interna

Se questo non ha mai fatto di Negri un sionista, movimento, almeno nell’accezione herzliana, visto col sospetto rivolto a tutte le forme di nazionalismo e accompagnato dal sostegno alla causa palestinese, ci dice molto sull’ebraismo e sulle sue possibilità di evoluzione interna.

Oggi realtà quasi estinta, o profondamente mutata, i kibbutzim, assieme al movimento operaista ebraico Bund bollato da Stalin come separatista, hanno rappresentato la più esplicita intersezione fra pensiero ebraico e ideologia marxista, corroborando l’interpretazione dello stesso Marx come tappa interna alla tradizione messianica ebraica.

Una nota biografica che spinge a riflettere sulla categoria coniata da Joseph Lehmann, in uno studio che ha fatto scuola, di «ebreo spinozista», recentemente riletta in un felice saggio da Federico D’Agostino (L’ebreo spinozista, Marietti, 2023), dove il tentativo non è di far rientrare Spinoza, di cui lo stesso Negri è stato un importante interprete, nell’alveo dell’ebraismo, ma, viceversa, l’ebraismo nello spinozismo.

Universalizzare, dunque, quelle istanze bibliche di libertà, giustizia e fraternità così da farle coincidere con gli ideali ispiratori del pensiero del filosofo di Amsterdam, come noto scomunicato dai vertici rabbinici nel 1656.

In questo modo, l’esperienza intellettuale di Negri ci riporta alle celebri parole di Gershom Scholem, non a caso riprese anche da D’Agostino nel suo studio, quando, commentando l’opera di Martin Buber, un tempo suo mentore, disse: «c’è qualcosa di vitale che va oltre le definizioni dogmatiche (…) Il giudaismo possiede aspetti utopici che non sono ancora stati scoperti, cioè possiede una forza vitale che io chiamo, appunto, aspetti utopici (…) La mia fede nel giudaismo vivente si basa su questa concezione. Esistono alcune manifestazioni che sono già state scoperte e che hanno assunto forma storica (…) Sono certo che ci saranno possibilità di nuove manifestazioni del giudaismo come fenomeno nazional-spirituale. (…) Cosa resta della nostra tradizione? La mia risposta è: non lo so. Potremo dare una risposta a questa domanda, forse, solo quando la forza vitale e creativa del giudaismo si manifesterà di nuovo» (Tre discorsi sull’ebraismo, Giuntina, 2005).

Slancio utopico

Sa il cielo quanto oggi, Israele e l’ebraismo tutto abbiano bisogno di questo slancio utopico, così tanto enfatizzato in Italia dal lavoro di Donatella Di Cesare (anche lei vicina a Toni Negri) e da studiose più giovani come Libera Pisano.

I conflitti interni, che non si sono affatto spenti nemmeno nelle ore tragiche che stiamo vivendo, sembrano aver messo definitivamente in crisi un delicato equilibro fra le diverse anime dell’identità ebraica, chiamata a ripensarsi ora come non mai.

Persone che abbiano frequentato quel limes che definisce il rapporto fra esterno ed interno delle diverse identità stimolano quell’immaginazione necessaria al rinnovamento.

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