Doveroso preoccuparsi giorno dopo giorno di quello che il governo e i suoi ministri fanno (“riforma” della giustizia), ancor più non fanno (Pnrr) o hanno fatto (conflitti di interesse). Importante è, non solo contrastare, ma proporre. L’esempio migliore è il salario minimo garantito.

Offre il segnale della convergenza delle opposizioni, ma potrebbe essere meglio argomentato e sostenuto, ad esempio, con riferimento a quanto c’è negli altri Stati-membri dell’Ue, anche in quelli nei quali i sindacati hanno mostrato forte capacità di contrattazione collettiva.

Che sia una proposta tanto significativa quanto imbarazzante per il governo è dimostrato dal fatto che il centro-destra cerchi di sopprimerla senza neppure discuterla. Sopprimere una tematica costituisce una delle varianti della strategia della premier.

Una falsa narrazione

Ai ministri è consentito esprimere loro posizioni, ma se sono controverse e appaiono sgradite, immediatamente vengono etichettate e derubricate come non facenti parte del programma di governo per l’attuazione del quale gli elettori avrebbero espresso un mandato.

Questa falsa narrazione, non sufficientemente contrastata dalle opposizioni, serve a Giorgia Meloni per bloccare qualche eccesso, ad esempio, la ventilata abolizione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Avendo definito «pizzo di Stato» quanto debbono pagare i commercianti evasori (il precedente illustre è il berlusconiano dovere morale di evadere le tasse troppo, a giudizio di chi?, alte), Meloni può non avere gradito la «pace fiscale» (scurdammoce ‘o passato) proposta dal ministro Salvini, ma ha lasciato cadere. Probabilmente, ha anche lasciato cadere la ministra Santanchè. Sarebbe un bell’esempio che ci sono limiti all’uso disinvolto dei rapporti di potere.

La strategia

Nulla di tutto questo, comunque, lo confermano i sondaggi, incrina il livello di gradimento suo personale e del governo che dipende anche e molto dalla sua presenza e attivismo sulla scena europea e internazionale. Certo, le photo opportunities con Macron, Ursula von der Leyen, Erdogan, Sunak, prossimamente Biden, e altre future, dell’underdog venuta dalla Garbatella, sono molto gratificanti.

Sbagliano coloro che le criticano come un diversivo, un transfert freudiano su un terreno nel quale la visibilità di Giorgia Meloni quasi cancella i suoi problemi italiani. C’è, invece, una strategia: presentarsi nella misura del possibile, che non è piccola, come una player propositiva (il piano Mattei), affidabile in quanto solidamente atlantica e sostenitrice dell’Ucraina.

Qualche scivolata per l’apprezzamento espresso a coloro che difendono gli interessi nazionali è del tutto funzionale al disegno di guidare i conservatori e riformisti a diventare alleato numericamente cruciale per i popolari e una nuova maggioranza a Bruxelles. Opposizioni cieche e afone la aiutano.

© Riproduzione riservata