Il dizionario di Guido Crosetto è quello di Silvio Berlusconi, riveduto e corretto, contro le toghe politicizzate. Ma con l’aggiunta di un attacco preventivo lanciato a una magistratura, troppo debole anche per difendersi dagli affondi della politica. Quello giudiziario è oggi un potere più facile da colpire e indebolire. Il ministro della Difesa Crosetto ha scelto un’intervista al Corriere della Sera per sferrare l’offensiva ai magistrati, evocando – per paradosso – una trama contro il governo da parte di presunte «opposizioni giudiziarie». Adombra così il sospetto che da qui alle Europee possano esserci delle inchieste costruite ad hoc per indebolire, se non azzoppare, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. «Mi aspetto che si apra questa stagione», ha detto, confermando la sua tesi in una successiva dichiarazione diffusa dopo le richieste delle opposizioni di riferire in parlamento. Non è stata un’affermazione dal sen fuggita.

Crosetto agisce quindi con metodi inediti per un ministro: dice di sapere di «riunioni di una corrente della magistratura», per quelle che suonano come un “sentito dire”, sebbene lui stesso sostenga che si tratta di fonti credibili. Toni che alludono a qualcos’altro, senza entrare nel dettaglio. Tanto che il leader di Azione, Carlo Calenda, ha fatto notare che un ministro «non può riferire di complotti di magistrati senza denunciarli in modo circostanziato. Non siamo al bar dello sport». Crosetto ha comunque detto di essere disponibile a riferire in parlamento - in commissione antimafia o al Copasir - le informazioni in suo possesso, accogliendo l’invito avanzato dal deputato di +Europa, Benedetto Della Vedova.

Niente galateo

In attesa di conoscere l’evoluzione degli eventi, il risultato è quello di un avviso ai naviganti, leggasi magistrati: in caso di indagini, sarà scontro aperto, nessun galateo istituzionale. Una strategia di intimidazione preventiva, messa in atto da Crosetto, una delle figure che pure viene descritta tra le più inclini al dialogo. Figurarsi il resto. Ma la linea dei giudici oppositori non rappresenta una novità nel governo, si colloca in una linea di continuità con la visione meloniana. A luglio scorso, quando infuriava il caso-Delmastro sulla rivelazione di informazioni segrete relative al caso-Cospito, Palazzo Chigi fece circolare una nota “unofficial”, etichettata come “fonte”. Ma è noto che la maternità è da intestare tutta alla premier Meloni: «È lecito domandarsi se una fascia della magistratura abbia scelto di svolgere un ruolo attivo di opposizione. E abbia deciso di inaugurare anzitempo la campagna elettorale per le elezioni europee», si leggeva in quella nota. Parole che si sovrappongono alla perfezione con le dichiarazioni di Crosetto. Il ministro della Difesa si spinge solo un po’ più avanti, aggiunge un “aspetto carbonaro”: le riunioni semi clandestine delle toghe avversarie della destra, in cui si medita come affondare la corazzata meloniana.

Eppure, fin dall’insediamento, le uniche inchieste che hanno creato problemi al governo sono quelle giornalistiche, di Domani, del Fatto Quotidiano, di Repubblica, che hanno svelato situazioni imbarazzanti per il governo, che avrebbe voluto tenerle ben nascoste. La risposta è stata la solita evocazione del complotto. Il quarto potere ha insomma dato fastidio a Palazzo Chigi, mentre la magistratura ha trattato con cautela, quasi con timidezza, le vicende relative a esponenti del governo. C’è la consapevolezza di una vulnerabilità che non consente di fare fughe in avanti, di aprire scontri istituzionali.

Magistratura cauta

L’approccio prudente è confermato proprio dall’inchiesta sul sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro. La procura di Roma, in quel caso, ha avanzato la richiesta di archiviazione, respinta poi dal gip. L’altra inchiesta imbarazzante per il governo, sulle società della ministra del Turismo, Daniela Santanchè, è stata a lungo sottoposta a secretazione, proprio per evitare che le notizie circolassero troppo, per tenere la cosa lontana dai riflettori mediatici. Almeno fino a quando è stato possibile. Così come una magistratura tutt’altro che d’assalto ha toccato con delicatezza l’indagine sulla presunta violenza sessuale compiuta da Leonardo Apache La Russa, figlio del presidente del Senato. La famosa sim del telefonino non è stata sequestrata immediatamante dagli inquirenti, nonostante lo smartphone potesse essere uno strumento utile a chiarire i contorni di quella vicenda. Tutto fuorché una strategia d’assalto verso il governo. Che pure già si prepara a urlare all’ennesimo complotto immaginario.
 

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