Mentre cresce il numero di donne, uomini e bambini che perdono la vita nel Mediterraneo, nessuno ha ricordato quanti soldi l’Italia ha investito sulla Guardia costiera libica. Non lo ha fatto nemmeno il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi durante la sua relazione in parlamento. Eppure quei fondi, che sono riportati nero su bianco nelle leggi dello stato italiano, avevano l’intento dichiarato di frenare le morti in mare. Sono stati spesi quasi cento milioni di euro e, nel corso degli anni, cedute svariate motovedette con cerimonie partecipate dai ministri.

La storia

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Il primo patto risale al 2007. Allora il ministro dell’Interno era Giuliano Amato, ex presidente del Consiglio che sarebbe poi diventato presidente della Corte costituzionale e sarebbe entrato a più riprese nella rosa dei possibili presidenti della Repubblica.

Amato era nella squadra di centrosinistra guidata da Romano Prodi, ma la terminologia utilizzata è paragonabile a quella dell’attuale governo Meloni, il più a destra della storia repubblicana. La notizia si ritrova negli archivi del ministero dell’Interno: «L’accordo prevede l’organizzazione di pattugliamenti marittimi congiunti davanti alle coste libiche».

In questo modo, ha detto Amato durante la firma dell’accordo a Tripoli, «sarà possibile contrastare efficacemente la partenza dei natanti e bloccare il tragico traffico degli esseri umani». L’Italia si è votata così ai «controlli sull’immigrazione clandestina» e all’«azzeramento» dell’«afflusso dei clandestini» dalla rotta libica. Il viceministro di Amato era Marco Minniti.

Soldi e motovedette

Nel «protocollo di cooperazione» del 2007, il governo si è impegnato a cedere tre guardacoste classe Bigliani e tre vedette classe V5000. Inoltre, il decreto legge del 31 gennaio del 2008 ha stanziato per la prima volta più di 6 milioni e 200mila euro per la partecipazione della guardia di Finanza alla missione in Libia.

L’accordo è piaciuto al centrodestra, che dopo aver vinto le elezioni ha cominciato a metterlo concretamente in atto. Presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi e ministro dell’Interno il leghista Roberto Maroni. 

Nel 2009 è partito il trasferimento dei mezzi, con la consegna ufficiale a Gaeta, in provincia di Latina. «Oggi – ha detto il Maroni in quell’occasione – è una giornata importante ed è un’ulteriore tappa della svolta iniziata nella lotta all’immigrazione clandestina».

Governi e missioni

Le proroghe, a suon di milioni, da allora non sono quasi mai mancate. Per l’anno 2009 ce ne sono due: prima con decreto del dicembre 2008, per 4 milioni e 822mila euro. Poi 1 milione e 246mila euro con un decreto di novembre del 2009. A gennaio 2010 si riparte: 8 milioni e 220mila euro per «garantire la manutenzione ordinaria e l’efficienza delle unità navali». Nel 2010 c’è un breve stop contestuale alle modifiche del Codice dell’ordinamento militare, ma non è chiaro se nel frattempo i fondi siano già stati spesi tutti o no.

Il governo di Mario Monti nel 2011 si limita a rifinanziare il personale militare, e d’altronde il patto era stato siglato con la “Grande giamahiria araba libica”, ma il dittatore Muhammar Gheddafi era morto a ottobre. In Italia era il periodo della manovra «lacrime e sangue», ma lo stesso Monti ricorda ancora oggi di essere stato il primo presidente a recarsi nel paese africano dopo la morte di Gheddafi e di «aver ripreso alcuni aspetti» delle politiche precedenti.

Il decreto del dicembre del 2012 stanzia altri 4 milioni e 600mila euro, in questo caso per lo «svolgimento di attività addestrativa della Guardia costiera libica». Il 28 aprile 2013 diventa presidente del Consiglio Enrico Letta, con ministro dell’Interno Angelino Alfano, ex berlusconiano e leader del Nuovo centro destra. Il 3 ottobre muoiono sulle coste della Sicilia 368 naufraghi: partivano dalla Libia.

Nasce allora l’operazione europea che ancora oggi viene ricordata come la più efficace: l’operazione militare e umanitaria Mare nostrum, partita il 18 ottobre di quell’anno. L’Italia non interrompe però i finanziamenti alla Guardia costiera, stanziando 2 milioni e 895mila euro il 10 ottobre. Nel 2014, il nuovo presidente del Consiglio è Matteo Renzi, che attraverso altri due atti stanzia più di 5 milioni e 227mila euro. Il ministro dell’Interno è ancora Angelino Alfano, mentre quello degli Esteri è Paolo Gentiloni.

Il critico 2015

L’Italia rinnova il finanziamento anche nel 2015, a pochi mesi dallo scoppio della guerra civile in Libia. Di fronte all’instabilità a Tripoli, il parlamento decide però di far saltare la proroga alla missione della Guardia di finanza, che era stata rifinanziata con altri 4 milioni e 360mila euro.

Lo stop dura poco. Intanto cambiano le regole di approvazione della spesa per le missioni: nel 2016 si passa dal decreto emendabile a una nuova legge quadro. Anche se il parlamento deve comunque essere informato, il governo si muove con deliberazioni sui il parlamento è chiamato solo ad esprimersi con delle risoluzioni.

È in questo momento che arriva il memorandum Italia-Libia. La firma è del febbraio 2017 e porta il nome dell’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, con Gentiloni presidente del Consiglio. Ha durata triennale, con rinnovo automatico. 

Da tempo invece è in atto la criminalizzazione delle Ong, ma nell’opinione pubblica comincia a diffondersi una consapevolezza opposta: che sia sbagliato prendersela con chi è realmente impegnato nei soccorsi verso le nostre sponde, mentre in Libia i migranti continuano a essere riportati nei lager.

Le associazioni umanitarie iniziano a pubblicare report che tengono il conto dei soldi spesi: dal 2017 al 2022 vengono stanziati altri 44,44 milioni. Nel solo 2022 si è messa a budget una spesa di 11 milioni di euro. L’Italia ha continuato a cedere inoltre unità navali, una ventina in totale, dieci solo nel 2018.

Mentre cambiano i governi, i soldi per la Libia restano. Tra i primi viaggi all’estero, Meloni ha scelto proprio Tripoli: «Ho firmato un memorandum d’intesa tra il governo italiano e quello libico per la consegna di cinque vedette finanziate dall’Unione europea. Rafforziamo la cooperazione con la Libia, anche per contrastare i flussi d’immigrazione irregolare». Lo ha detto il 28 gennaio. Il 12 marzo sono morte altre 30 persone che cercavano di superare la rotta libica. Nel frattempo l’Italia allarga le frontiere degli accordi con i paesi che violano i diritti umani: i ministri Antonio Tajani e Anna Maria Bernini, in Egitto, hanno incassato l’appoggio di Al Sisi nel contrasto alle migrazioni irregolari.

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