Spartite le poltrone delle aziende di stato, esaurito il giro delle nomine più rumorose, per il governo di Giorgia Meloni resta da decidere la casella meno mediatica ma considerata nei palazzi del governo la più importante e delicata: quella del prossimo comandante generale della guardia di Finanza. Chi sarà il successore del generale Giuseppe Zafarana l’esecutivo lo deciderà in tempi brevissimi, c’è chi ipotizza già questa settimana.

Zafarana dopo una lunga carriera interna al corpo lascerà infatti a giorni la divisa per ricoprire il ruolo di presidente di Eni, al fianco del potente Claudio Descalzi, amministratore delegato capace di restare in quel ruolo dal 2014. Passano i governi, cambiamo gli equilibri politici, ma lui è inamovibile.

Per la prima volta però troverà un presidente con una storia di peso, non certo una comparsa né per curriculum né per indole, ma civil servant abile negli anni di timone a mantenere la pace sociale interna al corpo. Zafarana è stato per quattro anni il comandante, mentre i tre precedenti li aveva comunque trascorsi come capo di stato maggiore di Giorgio Toschi: di fatto, può vantare sette anni di governo effettivo del corpo.

Nei palazzi molti credevano che Zafarana, non ancora sessantenne, potesse prendere in mano il Dis, il reparto dei servizi segreti che coordina e controlla i due apparati di intelligence più noti, Aisi e Aise. Ma lì c’è Elisabetta Belloni, stimatissima dalla premier e dalla sorella Arianna, che non aveva né ha alcuna intenzione di abdicare. Ecco che la scelta di una importante presidenza è stata, per Zafarana, sbocco naturale.

Ora, per la sua successione la partita è apertissima. I generali di corpo d’armata che hanno reali chance di giocarsi le loro carte sono una mezza dozzina. Ma ad oggi il governo è diviso sulla scelta finale. Da un lato c’è il ministro dell’Economia, da cui dipende direttamente la Finanza e che sulla carta è quello che conta di più in questa nomina: Giancarlo Giorgetti.

La partita

Il ministro è in un momento d’oro, non più isolato nel partito e si gode l’armonia ritrovata con Matteo Salvini. Punta su un nome, quello di Umberto Sirico. Generale di corpo d’Armata, è stato comandante dei reparti speciali, l’élite della finanza che può contare su Scico e Gico fiori all’occhiello della lotta alle mafie. Sul nome di Sirico però non tutto il governo è d’accordo.

Se anche Guido Crosetto crede che sia l’uomo giusto al posto giusto, l’area dei fedelissimi di Giorgia Meloni, in primis il sottosegretario con delega alla sicurezza Alfredo Mantovano, vorrebbe incidere nella nomina e sponsorizza un fratello d’arte: Andrea De Gennaro, fratello di Gianni, il super poliziotto che ha scalato tutte le posizioni fino a diventare il capo della Polizia sotto il governo Berlusconi e da quella posizione ha dovuto gestire la mattanza del G8 di Genova del 2001. De Gennaro – il più anziano del mazzo – gode anche della stima di Luciano Violante, l’ex presidente della Camera ancora molto influente negli ambienti della sicurezza e consigliere ascoltato della Meloni.

Queste due visioni differenti potrebbero portare ai due favoriti veti incrociati, che secondo gli addetti ai lavori potrebbero favorire un terzo che gode. Tra i papabili c’è certamente Bruno Buratti, comandante interregionale dell’Italia centrale, definito all’interno del corpo «una delle menti più brillanti che abbiamo»; poi c’è Francesco Greco, attuale capo di Stato maggiore del comando generale della finanza, da poco generale di corpo d'armata, che secondo alcuni (in primis Mantovano) è troppo giovane per il ruolo, per il quale potrebbe concorrere in futuro senza problemi.

Fabrizio Cuneo, 60 anni, generale e in forza al Dis, prestato ai servizi durante la reggenza Zafarana, è un altro che ha più di una chance: di lui raccontano che sia un grande appassionato di Napoleone Bonaparte, e che sia l’unico di questa rosa davvero in sintonia politica con i valori della destra. Qualcuno a palazzo Chigi potrebbe puntare infine su Michele Carbone, generale e comandante interregionale dell'Italia meridionale, e un gruppo minoritario crede che il nome migliore sia quello di Sebastiano Galdino, a capo dell’ispettorato per gli Istituti di istruzione della Guardia di Finanza.

Il parere di Giorgetti – che da settimane sta vagliando le candidature – sarà comunque decisivo, e troverà l’unanimità della Lega. Forza Italia, che gioca la partita con Gianni Letta si accoderà al partito di Salvini. Mantovano punta tutto su De Gennaro ma non sarà facile per lui – già inviso a un pezzo del consiglio dei ministri per il suo decisionismo – tentare di imporre un nome senza fare mediazioni. Sarà fondamentale, naturalmente, il parere di Meloni, che dovrà fare la sintesi sulle proposte dei ministri competenti e quelli più ascoltati.

Sogno infranto

Nell’elenco di papabili, fino a poche settimane fa, c’è pure un altro nome, che peraltro circolava con insistenza tra gli addetti ai lavoro: quello del generale Fabrizio Carrarini. Le sue chance si sono ridotte a zero dopo che è inciampato in un’indagine, scoperta ora da Domani, e archiviata di recente dalla procura di Roma. Nonostante sia finita in un nulla di fatto è la questione che imbarazza il governo di destra: si trattava di uno stralcio inviato nella Capitale dai pm di Bergamo sull’inchiesta della gestione della prima fase della pandemia.

Carrarini in pratica era stato iscritto nel registro degli indagati per rivelazione di segreto, perché aveva avvertito Goffredo Zaccardi, il capo di gabinetto del ministro Roberto Speranza (entrambi indagati a Bergamo) di un immediata visita dei finanzieri al ministero per acquisire materiale utile alle indagini. In realtà Carrarini non lo avrebbe fatto con dolo: è infatti garbo istituzionale chiamare i vertici ministeriali poco prima di vedersi piombare negli uffici i finanzieri per perquisire o acquisire documenti.

Carrarini, tuttavia, avrebbe sbagliato due cose: ha avvertito con largo anticipo, quando sarebbe bastata una telefonata dieci minuti prima dell’irruzione, e poi ha scritto persino una mail rivelando troppi elementi coperti da segreto. All’epoca - è bene precisarlo – non c’erano ancora indagati iscritti, si trattava di un’acquisizione documentale.

Ma tant’è, il generale per quanto archiviato sembra oggi essere bollato come troppo vicino al centrosinistra per questo garbo dimostrato al braccio destro di Speranza, sotto accusa da parte della destra per come ha condotto la lotta al virus.

Gli occhi del Quirinale

Tra i decisori della battaglia non c’è solo la premier, Giorgetti e Mantovano. Alla successione di Zafarana guarda infatti con grande attenzione il Quirinale. Il presidente Sergio Mattarella e il suo potente braccio destro Ugo Zampetti sperano che Zafarana sia sostituito da un profilo all’altezza: dell’ex comandante entrambi hanno apprezzato la gestione del corpo in anni difficili, e vogliono che nella scelta prevalga esclusivamente il merito, e non la forza di cordate politiche.

Zampetti è in ottimi rapporti con il comandante uscente che spinge per Sirico, ma c’è molta stima anche nei confronti di De Gennaro. Come sempre, il Quirinale non è solito intervenire né suggerire apertamente, ma si fa notare attraverso la moral suasion solo in casi di evidente inopportunità di una nomina.

Meloni lo sa, come sa che non deve sbagliare nome: la Finanza – che negli ultimi hanno ha operato come polizia giudiziaria nelle più delicate inchieste su economia, aziende di stato e politica – è una dei più strategiche istituzioni del paese. Un potere che, in mani sbagliate, potrebbe creare scossoni affatto banali. Anche al governo.

 

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