È sopravvissuto a circa una decina di attentati dell’esercito israeliano, in uno di questi nel 2014 sono rimasti uccisi sua moglie e uno dei suoi figli. Ma lui, il capo di Hamas Mohammed Deif che sabato scorso all’alba ha guidato l’attacco via aria e soprattutto via terra contro Israele riuscendo a bucare il suo sistema di sorveglianza, è ancora al suo posto di commando.

Mentre centinaia dei suoi uomini, le Brigate Iz ad Din al Qassam, ala militare di Hamas, erano già penetrati nei villaggi a sud di Israele, uccidendo e catturando i militari israeliani lungo il percorso e entrando nelle case delle famiglie dei villaggi nell’area, la voce registrata di Deif invitata la Umma, il popolo dei musulmani, a rivoltarsi contro il nemico oppressore «Se avete un’arma, oggi è arrivato il giorno di imbracciarla. Se non ce l’avete, prendete un coltello o una mannaia e scendete in strada per liberarvi degli occupanti».

Il ruolo dell’Iran

«L’Iran ci ha sostenuto nell’operazione», ha dichiarato ieri il portavoce di Hamas, Ghazi Hamad. Per la prima volta in decenni Israele viene colpita alla sprovvista dal suo nemico, suona come un messaggio chiaro dell’Iran all’Arabia Saudita per il suo tradimento. Proprio in questi giorni i due paesi erano impegnate nei negoziati sul processo di normalizzazione dei rapporti tra i due paesi sulla scia degli accordi di Abramo avviati da Israele con i paesi arabi nel 2020. L’Iran non ha evidentemente accettato il tradimento del suo principale alleato rendendo possibile la Pearl Harbor di Israele.

Infatti L’Arabia Saudita era il principale finanziatore di Hamas insieme all’Iran quando il movimento di resistenza islamico nacque nella Striscia di Gaza nel 1987. Durante la prima Intifada, Hamas si propose come braccio armato dell’organizzazione islamista internazionale dei Fratelli Musulmani, che all’epoca provava a mettere insieme i cocci dopo la disfatta del movimento pan-arabista dopo che nel 1979 il presidente egiziano Mohamed Anwar Sadat aveva firmato un accordo di pace con Israele dopo negoziati segreti a Camp David.

Allora Hamas puntava alla eliminazione dello Stato di Israele come unica soluzione per ristabilire lo stato di diritto del popolo palestinese. Di lì a poco, sotto la pressione degli scontri della prima intifada ancora in corso, nel 1991 nacquero le Brigate Iz ad Din al Qassam come ala militare di Hamas. Dietro questa operazione c’erano Arabia Saudita e Iran: Riad in quanto guida delle correnti più oltranziste dell’Islam sunnita e quindi portabandiera del movimento pan-arabista, invece, gli ayatollah sciiti di Teheran puntarono sul movimento armato sunnita di Hamas in chiave antisraeliana garantendo nella regione sostegno agli sciiti di Hezbollah in Libano. Centinaia di milioni da Riad e Teheran ogni anno verso la Striscia come contributo alla resistenza.

Stati Uniti, Unione Europea e Canada e altri paesi hanno inserito Hamas tra le organizzazioni terroristiche; invece, Australia e altri paesi hanno continuato a riconoscere Hamas come partito politico inserendo nella loro blacklist solo gli uomini delle Brigate Iz ad Din al Qassam.

La vittoria interna

Quando Hamas nel 2006 a sorpresa vinse le elezioni parlamentari aggiudicandosi la maggioranza dei seggi in parlamento, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) Abu Mazen ne prese le distanze ufficialmente per via delle loro posizioni radicali. Nel 2007 ci fu una guerra tra gli uomini di Hamas e le brigate di Fatah, il partito laico di partito di rappresentanza dell’Anp, tanto che ci fu una guerra. Vinsero le Brigate Iz ad Din al Qassam. Divenne ancora più importante per Teheran e Riad garantire il loro sostegno a Hamas per mantenere il loro presidio nella regione.

La Siria e la Turchia invece si offrivano come base logistica per gli uomini di Hamas.

Proprio da Damasco nel 2006 l’allora capo di Hamas Khaled Mashaal propose per la prima volta il riconoscimento dello Stato di Israele in cambio che Israele ritirasse le sue forze entro i confini stabiliti nel 1967, ovvero lasciando allo stato della Palestina la Cisgiordania e la striscia di Gaza insistendo al contempo sul carattere “politico” e non religioso della propria battaglia contro Israele, che si mostrò interessata ma poi mai implemento i termini dell’accordo.

Hamas ha continuato a sopravvivere nella enclave insieme ai due milioni e mezzo di persone che lì, in quella striscia di terra ci vivono, di certo non grazie al sistema di tassazione messo su come amministrazione, ma attraverso i milioni che arrivavano per la causa da Teheran e Riad.

Poi Riad ha cambiato passo annunciando di essere disposto a firmare l’accordo di normalizzazione con Israele.

Sabato scorso le brigate Brigate Iz ad Din al Qassam sono entrate in Israele, mentre da nord gli uomini di Hezbollah gli fanno sponda.

Teheran ha alla fine rivendicato il suo sostegno.

 

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