Le nuove generazioni possono essere un fattore decisivo per decretare il vincitore delle prossime elezioni. Ma le forze politiche, nella maggior parte dei casi, continuano a ignorarli. Probabilmente rassegnati all’idea che i giovani siano (e resteranno) la principale fascia d’età che ingrossa le fila del cosiddetto “partito dell’astensionismo”. Storicamente è stato così. E i leader non sembrano scommettere su un’inversione di tendenza.

Prima assoluta

Il voto del 25 settembre introduce una novità assoluta: al Senato potranno votare, per la prima, anche i ragazzi dai 18 ai 25 anni, grazie alla riforma costituzionale approvata lo scorso anno. Conti alla mano si tratta di circa «sette milioni di nuovi elettori» dice Rado Fonda, head of research dell’istituto di ricerca Swg. Un calcolo che tiene conto, oltre che degli “esordienti” di chi nel 2018, quando ancora vigevano le vecchie regole, non aveva compiuto il 26esimo anno di età.

Stando alle stime si tratta del 9 per cento di incidenza sull’elettorato. In maggioranza sono concentrati al sud dove la popolazione è più giovane. Gli ultimi dati Istat, infatti, indicano che in Liguria ci sono 260 anziani ogni 100 giovani, in Campania il rapporto è 134 su 100. «Un aspetto rilevante», dice Antonio Noto, fondatore dell’omonima società di sondaggi, «è che i partiti non parlano della novità del voto dei giovani al Senato. La riforma è stata salutata positivamente, ma ora è finita sotto traccia». Al momento è prevedibile, secondo il ragionamento dell’esperto, «un impatto complessivo abbastanza marginale. Perciò la scarsa attenzione potrebbe rendere impercettibile la conseguenza della riforma».

Nulla di nuovo. Storicamente alle urne si recano maggiormente gli over 45, su cui viene costruita la campagna elettorale. Un quadro che viene confermato dallo scenario attuale. «Nella fascia giovanile c’è oggi un 40-45 per cento di elettori indecisi o che sono già certi di non andare a votare», dice Paolo Natale, docente di Analisi dei sondaggi all’Università di Milano ed esperto di flussi elettorali. Una miniera di voti in libertà, capace di spostare gli equilibri finora fotografati dai sondaggi. E qui viene messa in risalto la contraddizione di partiti che si battono, a parole, contro l’astensionismo, ma non mettono in campo proposte per contrastarlo effettivamente.

Per far breccia tra i giovani c’è un grimaldello: affrontare i temi concreti, quelli che loro sentono più vicini. «Le preoccupazione principale è relativa alla prospettiva del futuro», dice Fonda. In particolare per quanto riguarda «il lavoro e l’ambiente». Altre questioni “calde” sono il diritto all’istruzione, i diritti civili e la questione dell’Europa, intesa come luogo di scambio culturale prima che commerciale.

Scarsa incidenza

Una debole partecipazione giovanile, insomma, non avrebbe capacità di incidere sull’esito del voto. «Dai dati che abbiamo a disposizione, fino a oggi, l’incidenza è nell’ordine dello zero virgola», sostiene Federico Benini, presidente dell’istituto Winpoll.

Una differenza rispetto a quanto accaduto nel 2018, quando il Movimento 5 stelle ha conquistato quasi la metà del voto giovanile, con punte del 40 per cento, staccando nettamente il Partito democratico. In quel caso hanno avuto un ruolo importante, se non cruciale, diventando un fattore di innovazione. Da allora, tuttavia, sono cambiate molte cose: il M5s è stato al governo e ha perso la fiducia di quegli elettori.

«Ma adesso è comunque il partito che gode di maggior consenso, davanti al Pd», dice Natale. In generale sono i soggetti con un’impronta progressista a dialogare con maggiore facilità con le nuove generazioni, anche se si verifica una crescita di Fratelli d’Italia.

Secondo Benini il centrosinistra «deve puntare a massimizzare i voti nelle fasce più sensibili alla sua proposta politica, trovando un linguaggio più interessante». Il traguardo finale sarebbe di portare alle urne i giovani elettori reticenti alla partecipazione, scardinando i trend che appaiono consolidati. Lo scenario non sembra plausibile e la sintesi di Noto spiega le ragioni: «I partiti fanno più ricorso alla tattica che ai contenuti. Candidano i giovani, pensando di ottenerne il consenso, ma non cercano di intercettarli con gli argomenti». 

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