La spaventosa moltiplicazione dei libri scritti da politici non può che essere interpretata come segno della confusione fra lettori ed elettori. I libri dei politici vanno bene, ci informano le classifiche della varia, ma “bene” è una valutazione relativa che va rapportata alla dimensione e alla vitalità del mercato italiano, entrambe assai limitate. I lettori sono pochi (il 40 per cento della popolazione da sei anni in su, dati Istat), fra questi i lettori forti – cioè che leggono almeno dodici libri all’anno: non proprio una forza sovrumana – sono pochissimi (15,6 per cento) e c’è da presumere che i lettori con lo stomaco abbastanza forte per affrontare un instant manifesto di Enrico Letta, l’ennesimo capitolo della saga fantasy di Matteo Renzi, il Bildungsroman missino di Giorgia Meloni o l’educazione traumatica di Rocco Casalino rappresentino un sottoinsieme di un sottoinsieme di un sottoinsieme. Da questa lista breve e purtroppo incompleta va tenuto fuori il libro di Roberto Speranza, Perché guariremo, che da libro politico si è trasformato in oggetto da collezione, incunabolo che stradomina la classifica di Amazon Francia nel non affollatissimo genere “biostatistique”. I pochi italiani che leggono dedicano in media all’attività 5 minuti al giorno (dati Eurostat), meno degli spagnoli, degli austriaci, dei greci, dei romeni, dei turchi e via dicendo, e il confronto diventa impietoso se si considerano paesi come Estonia, Finlandia, Ungheria o Polonia. Il dato politicamente rilevante è che gli autori che dovrebbero raggiungere il bacino più vasto possibile ricorrono con impressionante entusiasmo a uno strumento di comunicazione che è appannaggio di una remota nicchia incastonata in una sottocultura. Insomma, per scrivere libri a tema libero un politico deve attentamente coltivare una vocazione minoritaria oppure credere nell’effetto moltiplicatore generato dalle ospitate televisive, dalle interviste, dalle presentazioni, dall’attività sui social, cosa che in effetti funziona, ma al prezzo di far uscire i libri dei politici dalla categoria dei libri, per renderli un indistinto prodotto di miscellanea comunicativa. E infatti tutti questi libri, molto diversi fra loro, hanno in comune una caratteristica: sembrano tutti post di Facebook di lunghezza estenuante, sono giustapposizioni di tweet, centoni di lanci di agenzia riscritti in ghostwriterese a beneficio di un piccolo pubblico che già si occupa dei loro autori per mestiere o perversione.

 

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