Stallo sulla cessione dell’Isab di Lukoil, il governo Meloni ha imposto di lasciare la raffineria siciliana di Priolo, in provincia di Augusta, in fase di vendita alla cipriota Goi Energy, in mano ai manager russi, ma non vuole renderlo noto.

La società pronta ad acquisirla infatti, si era detta pronta a firmare l’accordo il 30 marzo ma non si è ancora espressa: attende la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto della presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, che ha dato il via libera con delle prescrizioni. Peccato che il testo, approvato la settimana scorsa, in Gazzetta non ci andrà mai. Il governo ha deciso di mantenere il segreto, mandando il 14 aprile solo una stringatissima comunicazione di tre pagine al parlamento. Non sono previsti i pareri delle commissioni.

La decisione del governo

L’11 aprile il Consiglio dei ministri si è accordato sul Dpcm con cui dare il via libera all’acquisizione da parte di Goi Energy del 100 per cento del capitale di Isab Lukoil, detenuta al 100 per cento dalla società svizzera Litasco, posseduta dalla russa Lukoil.

Goi Energy è il ramo energetico di Argus New Energy Fund, fondo di private equity e di gestione patrimoniale, con sede a Cipro. A gennaio ha annunciato insieme a Lukoil di essere pronto ad acquisire l’impianto. Un affare da circa due miliardi, a cui si aggiungeranno tutti gli altri investimenti che il fondo ha promesso ci saranno sull’impianto, inclusa, in futuro, la riconversione.

L'approvvigionamento della raffineria e la continuità della produzione, ha spiegato Goi, saranno garantiti dagli accordi di fornitura a lungo termine con Trafigura, il secondo più grande gruppo di trading di petrolio al mondo.

Un legame economico ma anche personale, visto che l'amministratore delegato di Goi Energy è Michael Bobrov, ex direttore di Trafigura e principale azionista di Bazan group, che opera in Israele, e offrirà il suo know how a Isab.

A più riprese la stampa ha riportato di possibili intrecci con Mosca, dato che in passato Trafigura è stata partner del colosso russo del petrolio Rosneft. Legami che invece oggi il gruppo ha ribadito in via ufficiale di non avere più.

Gli Stati Uniti hanno più volte puntato gli occhi sull’operazione, sia perché tra gli altri possibili acquirenti si sono fatti avanti anche i fondi americani, sia per timori geopolitici. A quanto riportato dal Financial Times, fino allo scorso 8 aprile il Dipartimento di stato degli Stati Uniti d'America, interpellato sul dossier, ha chiesto di fare attenzione alla «sicurezza» di tutte le transazioni che riguardano asset energetici russi.

Il golden power

L’esecutivo, di fronte alla cessione così delicata di un impianto ancora oggi a trazione russa, mentre prosegue il conflitto in Ucraina, ha deciso mesi fa di esercitare il “golden power”, il potere di bloccare o condizionare la vendita di imprese strategiche. Ed è così che si è arrivati al testo del decreto, firmato dalla presidente Giorgia Meloni il 13 aprile e mai pubblicato. Una scelta a discrezione dell’esecutivo.

Quello che è emerso a oggi, è che il decreto con il quale il governo esercita i poteri speciali, autorizza l’operazione con una serie di prescrizioni relative alla tracciabilità della provenienza delle forniture di petrolio, per escludere l’ombra di Vladimir Putin, al mantenimento dei livelli produttivi e occupazionali e alla garanzia degli investimenti sull’impianto e sul depuratore, attualmente sotto processo.

I contenuti dell’accordo, ha riportato il Sole 24 Ore hanno tra le altre una prescrizione (testuale): «Garantire la continuità del management». Testo non solo non smentito, ma confermato a Domani da fonti vicine alla materia.

L’arrivo di Maniakhine

Che la raffineria fosse importante, l’Italia lo ha scoperto quando ha rischiato di perdere i suoi prodotti. Lukoil, colpita dal punto di vista reputazionale dalla guerra in Ucraina e dalle sanzioni europee alla Russia, ha riferito in un primo momento di avere difficoltà a trovare le linee di credito necessarie per l’acquisto petrolio, al punto da dover comprare soprattutto greggio russo.

Poi è partito l’embargo del petrolio russo, e, dopo le ripetute minacce di chiusura che hanno fatto dire al ministro delle Imprese Adolfo Urso di essere pronto se necessario a chiedere una deroga alle sanzioni, qualcosa è cambiato.

Litasco ha trovato il modo di far ripartire gli approvvigionamenti, tutti rispettosi dei divieti europei, segnalano dalla raffineria. Prima che partisse lo stop, è diventato direttore Eugene Maniakhine, uomo di fiducia Lukoil.

Laureato all’università di Ginevra e specializzato in Business administration and management, a partire dal 2008 ha ricoperto diversi ruoli apicali presso varie società del gruppo Lukoil nei paesi Bassi e in Svizzera. Dal 2018 ricopriva la posizione di vicedirettore generale per affari e finanza in Isab. Dal 16 settembre 2022, dopo che l’Ue ha fissato l’embargo, è stato nominato direttore generale. Infine da febbraio, dopo l’accordo con Goi, è diventato anche presidente del consiglio di amministrazione. A quel punto i manager russi sono persino aumentati. Maniakhine infatti ha deciso l’assunzione, nonostante fosse stato stabilito il cambio di proprietà di Vera Pavlova, già viceconsole e membro del corpo diplomatico della Federazione russa, per occuparsi del futuro verde della raffineria.

I dati

La raffineria nel 2021, ha registrato un fatturato di poco meno di 3 miliardi di euro. La capacità di raffinazione annua va dai 10 milioni di ai 14 milioni di tonnellate, un contributo a cui si aggiunge la capacità di produzione di energia elettrica. Per fare un esempio, i volumi di carburanti destinati all’auto-trazione sono più di 600mila tonnellate annue pari a circa il 46 per cento del fabbisogno siciliano (tutte informazioni rese pubbliche dalla stessa Lukoil).

Non a caso, tra le altre prescrizioni dell’esecutivo, c’è anche quella di continuare a garantire gli approvvigionamenti per l’Italia.
La centralità dell’impianto è data anche dall’integrazione industriale con i siti di produzione di Air Liquide, Erg, Versalis (ovvero Eni, non a caso i dipendenti hanno sostenuto tutte le manifestazioni dei colleghi anche sotto le porte del ministero) e Priolo Servizi, principale terminalista per volumi movimentati nei porti di Augusta e di Siracusa.

Tecnici e no

Dieci giorni dopo il Consiglio dei ministri, i dipendenti della raffineria siciliana non sanno nulla, nessuna delle due società si è espressa, e il passaggio, che avrebbe dovuto essere siglato da settimane, riferiscono gli operai «da scambi tra tecnici» starebbe andando avanti, ma non ci sono novità su quando sarà finalizzato.

Mercoledì i dipendenti hanno avuto un incontro con il vicedirettore Claudio Geraci. Lui ha riferito loro di non avere informazioni: «Di queste questioni parla solo Maniakhine», spiega Fiorenzo Amato, della Filctem Cgil.

Dopo una settimana dal via libera del governo ancora tutto tace: «Ma lei lo lascerebbe un impianto dai profitti miliardari in mano a persone non sue?», chiede il sindacalista. La soluzione di mantenere il management, riferiscono fonti vicine alla materia, viene vista da Goi come transitoria, ma al momento non c’è intenzione di opporsi. Contattata da Domani la società non commenta.

Abbiamo chiesto direttamente all’esecutivo come mai abbia deciso di imporre il mantenimento del management che allo stato attuale include Maniakhine e persino l’ex viceconsole. L’ufficio stampa di Palazzo Chigi ha risposto: «Non siamo autorizzati a diffondere informazioni sui Dpcm relativi al golden power».

Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha fatto un tweet mettendo il salvataggio Isab come il primo dei suoi successi. Ma al momento c’è solo incertezza sull’impianto da cui dipendono oltre mille operai, direttamente impiegati, e circa mille e cinquecento dell’indotto. Senza contare le imprese collegate.

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