Chi fugge, chi insegue, la partita fra le due leader ora è diventata un’altra. Giorgia Meloni prova a scappare dai guai di casa sua, tutti autoprodotti dagli straparlanti del suo governo; l’opposizione la tampina, la bersaglia di richieste di commento, prova a stanarla su ognuno dei dossier imbarazzanti che assediano la presidente del consiglio.

Che nel frattempo persino aumentano. Prima di partire per Riga, in visita ufficiale in Lettonia, Meloni ha diramato ai suoi l’ordine di abbassare i toni, in primis sullo scontro con i magistrati, ma non solo. Inutilmente: dopo il triplete al contrario dei casi Santanchè, Delmastro e La Russa, ieri un altro esponente del governo ha distillato una perla omofoba, una delle poche che mancavano al catalogo delle intemperanze della destra in questi giorni: il ministro dello sport Andrea Abodi ha commentato il coming out di Jakub Jankto, primo calciatore di prima fascia a rendere pubblica la propria omosessualità: «Non amo, in generale, le ostentazioni, ma le scelte individuali vanno rispettate».

Un outing, semplicemente un outing, viene dunque definito una «ostentazione». Poi il ministro ha aggiustato il tiro: ma la frittata era fatta. Gli sono grondati addosso nuovi attacchi dal Pd e dalle associazioni lgbtq.

Evitare errori

Meloni tace. Non parla delle polemiche interne, almeno per ora, spiegano da Riga quelli del suo staff che l’hanno accompagnata. Nella capitale lettone ha tenuto un “punto stampa” senza stampa con il primo ministro Arturs Krisjanis Kariņs, rigorosamente senza domande. Scelta calcolata: per non dare l’idea di piegarsi alle richieste della minoranza, ma anche per evitare di commettere errori, anche lei.

A Roma ha intimato a Ignazio La Russa di tacere. Lui ha obbedito, ieri non ha neanche partecipato ai funerali di stato per l’ex presidente del consiglio Arnaldo Forlani, mandando al suo posto il senatore di lunghissimo corso Pier Ferdinando Casini.

Ma i fan di La Russa sono irrefrenabili. Sulla vicenda del presunto stupro di cui è accusato il figlio Leonardo Apache, si sono aperte le cateratte, e il sessismo della cultura della destra è sciamato finalmente fuori, non più contenibile. È successo al giornalista di Libero Filippo Facci, prossimo al trasferimento in Rai, scivolato in un’affermazione inaggettivabile contro la ragazza che ha denunciato la (presunta) violenza.

A differenza di Meloni, Elly Schlein invece parla. Più volte nella giornata, come ha fatto nelle scorse ore, ribaltando la tecnica dell’assenza che aveva praticato nelle scorse settimana per paura di logorarsi. Ora interviene e chiede ai suoi di intervenire sottolineando tutti i vuoti della premier e del governo.

«Mi stupisco di una presidente del Consiglio, che per la prima volta è una donna, stia perdendo l’occasione di essere dalla parte delle donne», dice a Metropolis, il web talk del gruppo Gedi. «Chiedo ancora: non ha niente da dire? Non ha niente da dire su un presidente del Senato che mette in dubbio la denuncia di una donna perché ha aspettato troppo a denunciare? Tutte queste cose sono disincentivi per le donne a denunciare. Meloni si sta dimostrando garantista solo con i suoi».

Nelle ore precedenti aveva sottolineato l’assenza di risposte anche «sulla proposta unitaria delle opposizioni sul salario minimo», sul caro mutui, sull’emergenza abitativa «che il governo ha inasprito tagliando il fondo affitto», sulla «sicurezza sul lavoro, nonostante il tragico stillicidio di vittime», «su come contrastare l’inflazione galoppante che sta impoverendo il Paese»: «Cos’altro deve accadere perché, infine batta un colpo?».

Il suo partito per tutto il giorno cannoneggia la maggioranza, anche dalla riunione del gruppo alla camera. «Meloni tace. Un silenzio per fuggire agli scandali dei suoi» (Peppe Provenzano). «Santanchè si dimetta, la sua permanenza al governo non è più tollerabile» (Simona Bonafé). «Negli ultimi sette mesi si è creato, in Italia, un clima intorno al Pnrr quasi fosse una tortura che ci hanno inflitto da Bruxelles» (Enzo Amendola).

Per il Pd la settimana andrà così: ogni giorno la messa sotto accusa della premier. Anzi ogni ora. Anche per non rinfocolare lo scontro fra palazzo Chigi e i magistrati, in cui si nota fatalmente la differenza di toni con Giuseppe Conte e i Cinque stelle.

Nel fine settimana si terrà l’iniziativa contro l’autonomia differenziata, tappa napoletana dell’«estate militante» lanciata dalla segretaria. Anche da lì la segretaria alzerà i decibel, in questo caso anche per coprire la quasi certa (ad ora) assenza del presidente della Regione Vincenzo De Luca, e gli eventuali strascichi di polemica interna.

Uniti sul salario

Oggi intanto le opposizioni unite (tutte tranne Italia viva) lanceranno una petizione nazionale per il salario minimo, in vista della discussione del testo unitario, prevista alla camera il prossimo 28 luglio.

Meloni invece sarà al vertice Nato di Vilnius. A sentire i suoi, nulla fa pensare che la notte porterà consiglio e che la premier deciderà di prendere parola sulle questioni interne. Anche se ieri sera a palazzo Chigi circolava qualche tensione per la nuova puntata di Report sulla ministra Santanché. Ha da passà ’a nuttata, per il governo. Ma prima o poi, presto ormai, Giorgia Meloni dovrà dire qualcosa: sulla ministra che le ha nascosto di essere indagata, sul fedelissimo Delmastro che rischia di essere rinviato a giudizio per rivelazione di segreto amministrativo; e sull’incontinente verbale La Russa .

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